Nomine

Meloni fa il blitz Rai, vuole il nuovo cda a Pasqua. Salvini duella con Tajani per la presidenza

Carmelo Caruso

La premier, dopo il successo in Abruzzo, passa alle nomine. Conte sogna di scippare il Tg3 al Pd, il Pd vorrebbe indicare la scrittrice Chiara Valerio. Il guaio è che i dirigenti di destra hanno già fallito

Roma.  Apre la Rai come le uova a Pasqua. Dopo la vittoria in Abruzzo, Giorgia Meloni  vuole regalarsi un nuovo cda. E’ tentata. Sta chiedendo di accelerare il cambio. La prossima settimana i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, possono dare avvio alla selezione dei  futuri consiglieri. Alla Camera sono pronti. Si attende il Senato. Le conseguenze sono almeno quattro: si concludono le prove di trasmissione dell’ad Rai, Roberto Sergio; per Giuseppe Conte finisce l’egemonia, il suo voto in cda non sarà più decisivo; Elly Schlein può nominare in cda uno tra Sandro Ruotolo e Chiara Valerio, mentre la destra, e il prossimo ad  Rossi, possono disegnare il palinsesto che verrà. Rai Pubblicità trema  alla sola idea. La premier ha un accordo con Salvini, ma Salvini non è d’accordo che la presidenza Rai vada a Forza Italia e a Simona Agnes. Ha un  nome alternativo. Vuole fare pesare di essere ancora, per pochi mesi, il secondo della coalizione. Di Marcello Ciannamea, il suo dirigente a Mazzini, non si fida più. Conte ha una sola richiesta: prendere il Tg3 di Orfeo, l’ultima casa in collina. Al Pd, fosse per Conte,  lascerebbe solo il segnale orario. Sta dunque per pesarsi la volontà della premier. Da ora in avanti, a cominciare dalla Rai, deve decidere se mordere subito o far riposare le cose.


Meloni vuole mordere la Rai, l’attimo. Dicono da FdI: “Intende accelerare  ed è stato avvisato pure il Mef, l’azionista”. Il bilancio a fine aprile si chiude (la Rai sta alienando pure Palazzo Labia, la sede di Venezia con affreschi del Tiepolo) e Meloni può davvero prendere possesso della governance o lasciare il cda attuale fino a luglio. Nel primo caso sceglie i volti della prossima stagione, stabilisce se il suo Angelo Mellone è degno di fare il direttore generale Rai o avere due generi da dirigere (Day time e Prime time). Nel secondo caso accetta che un altro anno Rai, e non è detto che sia un male, sia un compromesso, che Rai 1 venga ancora salvaguardata e che il suo Mellone-Cioran non metta le mani su “Domenica In”, l’unico programma che va bene e che la destra ha già annunciato di voler riverniciare. La figura del dg cambierà. Si dovrebbe chiamare coordinatore dei generi e i due candidati sono Mellone (direttore del Day time) e Ciannamea (direttore del Prime time) due che messi insieme, senza offesa, forse arrivano al tre per cento di share. E’ per spettatori d’essai, “Il Provinciale”, idea di Mellone (ultima puntata ha totalizzato il due per cento). Un altro programma  d’essai è “Mi presento ai tuoi”, sempre idea di Mellone. Ciannamea è ricordato invece per la dimenticabile gestione di Sanremo (il caso John Travolta, le sue conferenze stampa) per aver contribuito ad ammazzare Rai 2 con “Fake show” di Max Giusti e “Liberi tutti” di Bianca Guaccero. Ma questi sono dettagli. Ieri, la Rai gradassa  stava in Transatlantico. Seduto sui divanetti, per una bella e abbondante mezza giornata, c’era il direttore dell’approfondimento Rai, Paolo Corsini, l’eroe di Atreju, il destro che saluta “A noi!” (è il genio che ha portato Nunzia De Girolamo in prima serata; una catastrofe). Poco distante da Corsini si agitava il direttore di Rai Parlamento, Giuseppe Carboni, in quota M5s. Lo sa Schlein che mentre lei negozia, con fatica e generosità, il candidato in Basilicata, con Conte, le milizie di Conte spiegano ai giornalisti che il Tg3 ha bisogno di essere esfiltrato dal Pd? La sostituzione del cda è un affare spiccio. Una volta che la premier dice che si può fare, i presidenti di Camera e Senato aprono il bando e dopo sessanta giorni il Parlamento procede con l’elezione. Più complessa è la scelta della presidente che deve essere  donna per ragioni d’alternanza con l’ad. Per Forza Italia, e Gianni Letta, è scontato che la casella sia da assegnare all’attuale consigliere Rai, Agnes, se non fosse che Salvini è in uno stato punkofascio. Deve conservare la guida del Tgr, un feudo Lega, Attualmente lo dirige Casarin  ma  sta per andare in pensione. Gli hanno promesso che sarà lui il consigliere quota Lega, sessantamila euro l’anno, al posto di Igor De Biasio (l’uomo del triplete; oltre alla Rai fa il presidente di Terna e ad di Arexpo Milano). A prendere il posto di Casarin sarebbe il  vice, l’altro leghista, Roberto Pacchetti che, per prepararsi, sta facendo ripulire il web dalle sue gesta. Per FdI la sola cosa certa è che la quota direttori Rai della Lega è sovradimensionata e che FI  ha tutto il diritto di avere di più, a cominciare dalla possibile direzione di Rai News per Maria Rita Grieco (è vicedirettrice del Tg2) al posto di Paolo Petrecca. Di Rai News dispiace pure  scriverne. I giornalisti del Televideo, che fanno a capo a Rai News, hanno scambiato il film “Io Capitano” per la formidabile storia del capitano Schettino. Meritano “10” per fantasia.  Qui si inserisce Salvini che per distinguersi, e questa volta gli hanno dato una buona dritta, potrebbe proporre come presidente Rai, Teresa De Santis, già direttrice di Rai1. Il resto del cda se lo giocano, per il Pd, Ruotolo e Chiara Valerio. FdI deve indicare una donna e la più nobile, per storia e professione, è Annalisa Terranova, vicedirettrice del Secolo. Il M5s dovrebbe confermare Di Majo, anche perché Mazzola è già presidente di Rai Com (è pure presidente dell’Auditorium di Roma). All’ad Sergio, che, purtroppo ha perso in questi mesi la sua bella abbronzatura, dovrebbe essere consegnata qualche fondazione; del resto un ufficio studi non si nega a nessuno. Resta solo una domanda. Meloni, a parte il suo ad, è sicura di avere la classe dirigente attrezzata per la Rai? In dieci mesi ci ha fatto conoscere i Petrecca, i Corsini, i Mellone e il loro alibi era “siamo entrati a lavori in corso”. La possibilità  di  farli per intero dovrebbe essere il più grande spavento di Meloni.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio