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Una lettera di 26 docenti dell'univeristà di Salerno rivela l'antisemitismo inconsapevole

Peppe Rinaldi

La cellula salernitana dell’accademia chiodata (semi-cit.) ha cuore buono e cervello pio, lascia intendere in sottotesto che c’è da fidarsi di Hamas, dell’Onu, dell’Urnwa e degli stati arabi, autentica garanzia globale che dal giorno in cui l’Idf lascerà Gaza tutto tornerà a posto e nessun ebreo sarà scannato

Salerno. Una coorte di docenti dell’Università di Salerno la scorsa settimana ha diffuso una nota per informarci che avrebbe “aderito alla giornata di sciopero del 23 febbraio di tutto il comparto pubblico e privato”, nonché “alle manifestazioni del 24 per fermare il genocidio a Gaza”. “Cessate il fuoco immediato” – si legge -  “e ritiro dell’esercito israeliano da Gaza. Fine del blocco esercitato sulla Striscia. Stop ai traffici di armi verso Israele e altri contesti di guerra. Fine dell’occupazione coloniale della Cisgiordania e di Gerusalemme est”. Parole chiare, si va dritti al punto, poi ci si allarga: “L’università deve cambiare le proprie politiche verso la guerra, verso Israele e verso l’industria bellica” tenendo “fuori le imprese produttrici di armi, anche da questa università e anche se pubbliche, come Leonardo spa”, anche perché “noi firmatarie e firmatari (lo stilnovismo “di genere” è un must in certi ambienti, nda) aderiamo alla mobilitazione per evidenziare quanto sia importante unire l’iniziativa di diversi mondi del lavoro a quella più generale che si svolge nel resto della società”. 

  
Woody Allen, secoli fa, nel film Broadway Danny Rose, per inserirsi in una discussione o stemperare un litigio altrui, diceva “Vorrei interporre un rilievo nella congiuntura”: al nevrotico intellettuale progressista ebraico-newyorkese e di somma autoironia, non veniva un semplice “Posso dire la mia?” e, costretto da montagne di libri letti e chilometri di film visti ad esprimersi in quel modo, “interponeva rilievi” in chissà quante “congiunture”. 

    
I nostri prof, dunque, pure hanno interposto rilievi nella congiuntura dei fatti mediorientali: e che rilievi, che congiuntura. Quello di Allen era un film, questo dei prof è un dato di realtà, che rimanda al film che immaginano di aver visto dal 7 ottobre in avanti. Sembra che ne abbiano visto però solo il secondo tempo, da quando cioè è partita la risposta israeliana alla carneficina festante e compiaciuta dei palestinesi: il primo, che dura circa 2500 anni, appare obliterato, rimosso, quasi non fosse mai stato girato, il che, per cattedre militanti decise a interporre rilievi extra-dipartimentali, è peccato grave tenuto conto che la pellicola dovrebbero, a diverso titolo, spiegarla e insegnarla per intero. Che 26 docenti pensino, parlino e scrivano come un Fratoianni qualsiasi è certo legittimo ancorché imbarazzante, in ogni caso offre un altro indizio per capire perché larga parte della popolazione studentesca crede che “l’islam è nato in Palestina”: di qui il “mischmasch”, il guazzabuglio, come l’avrebbe chiamato Nietsche, che produce enormità come “apartheid”, “imperialismo” “guerra contro la popolazione di Gaza” e via interponendo rilievi attraverso note stampa sbilenche. La cellula salernitana dell’accademia chiodata (semi-cit.) ha cuore buono e cervello pio, lascia intendere in sottotesto che c’è da fidarsi di Hamas, dell’Onu, dell’Urnwa e degli stati arabi, autentica garanzia globale che dal giorno in cui l’Idf lascerà Gaza tutto tornerà a posto e nessun ebreo sarà scannato peggio di un capretto, né Rpg con proiettili da 2000 gradi squaglieranno più mamma papà figli e cane domestico in una sola vampa, in Israele o altrove. Su un terreno verosimilmente gradito ai 26 prof (e a Woody Allen), la psicoanalisi, si direbbe che in tema di antisemitismo c’è stato un transfert andato d’aceto pure nell’ateneo della città di De Luca. 

    
Che fare? Si potrebbe cominciare a insegnare agli studenti che smarrire il principio di realtà è pericoloso assai, se no rischi di non capire nulla del film e non “unisci il mondo del lavoro alla società” come Marx ti ha insegnato, peraltro con successo discutibile. Infatti, nel dipanare il gomitolo della nota dei nostri accademici, si intercetta la seguente riflessione: “Le politiche di disarmo sono necessarie per contrastare il cambiamento climatico e il riscaldamento globale”. E qui siamo dalle parti di una ragazzina svedese campionessa di dispersione scolastica che, kefiah al collo e milioni in banca, unisce alla frustrazione di non riuscire a far abbassare la temperatura della Terra per decreto universale, quella per il “genocidio in atto a Gaza per mano israeliana”. Il discente intima al docente, insomma, circostanza che riporta alla mente un aneddoto molto british, con Edoardo VIII che dopo un viaggio in Usa disse: “Bella l’America, mi ha colpito in particolare il modo in cui i genitori ubbidiscono ai figli”. Che un giorno diventeranno professori universitari, chissà.

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