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Il Ragioniere dello stato contro Meloni. Lettere contro nomine e fastidio per le riorganizzazioni dei ministri

Carmelo Caruso

Preoccupato per i conti pubblici, Biagio Mazzotta boccia le ultime azioni di governo. La destra torna a ragionare sul suo scalpo e sul potere oscuro della Ragioneria dello stato

Roma. Pure il ragioniere dello stato, Biagio Mazzotta, è salito sul trattore. Protocolla lettere contro le promozioni futuriste del governo, lancia segnali per la prossima Finanziaria, non sopporta le continue riorganizzazioni dei ministeri.  Sta avvisando Meloni e Giorgetti: lui non timbra più. Nei prossimi mesi servirà fare ulteriore debito. Mazzotta ha le cesoie. C’è un suo parere, durissimo, che smonta i progetti dei Balanzone di Meloni, i dirigenti di prima fascia che volevano transitare alla seconda, senza averne diritto. Le norme non lo prevedono, il ministero della Pa, dice si può fare, Mazzotta risponde: sfasciate i conti. Non vuole provare ancora l’IM, l’intelligenza Meloni. E’ passato all’opposizione.


Esiste un luogo, ancora, in Italia, dove Meloni, non può nulla. E’ la Ragioneria dello stato, il suo Ragioniere, Mazzotta, vale quanto Mattarella, tanto che le volte che si è parlato di sostituirlo, e se n’è parlato, al governo hanno risposto: “Impossibile, bisogna passare dal Quirinale”.  I conti dell’Italia sono quelli che sono. La Commissione Ue ha tagliato le stime di crescita per l’Eurozona. La nostra crescita prevista passa dallo 0,9 allo 0,7 contro una stima Nadef dell’1,2. La Ragioneria è sotto attacco da sempre perché frena la spesa, controlla i conti. Al Ragioniere non piace ad esempio la riorganizzazione   del ministero della Cultura. Sono aumentati i musei di prima fascia, ci sono quattro nuovi capi dipartimento. Si dice sempre che è a costo zero, ma in realtà non lo è mai. Mazzotta ha un’arma la sua firma. Sabino Cassese, nel libro intervista con Alessandra Sardoni “Le strutture del potere” (Laterza) l’ha definito “potere oscuro”. Solo che Mazzotta la vede chiarissima. Al ministero della Pa, quello di Zangrillo, Forza Italia, linea Tajani, hanno un’idea. Ribaltare l’orientamento, la vecchia prassi, che riguarda le carriere dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche. I dirigenti si dividono in prima e seconda fascia. Capita che dirigenti di seconda fascia vengano chiamati a lavorare da ministri, con incarichi di nomina politica. Una volta finito il mandato tornano nelle  amministrazioni senza aver maturato la fascia superiore. E’ il caso specifico di Andrea Tardiola, che da dirigente di seconda fascia viene prima reclutato per fare il segretario generale della regione Lazio, poi passa a Inail, come dg. Una volta tornato al ministero del Lavoro chiede che la sua esperienza maturata venga riconosciuta, e dalla seconda fascia passare alla prima. Se tutti i Tardiola d’Italia chiedessero il passaggio automatico, non basterebbero i lingotti di Bankitalia. Il passaggio non è automatico ma lo è diventato questa estate grazie a un’interpretazione speciale della coppia Francesco Radicetti-Marcello Fiori, rispettivamente capo dell’ufficio legislativo e capo del dipartimento della funzione pubblica del ministro Zangrillo. Lo erano pure con Renato Brunetta. E diciamo che Fiori qualche motivo per amare l’automatismo lo ha. E’ destinato a prendere il posto di Tardiola all’Inail. Quando si viene a sapere, si mobilitano, chiedono lumi, l’associazione dei dirigenti pubblici, la Scuola Nazionale d’amministrazione. Poi interviene Mazzotta. Ne ha già scritto il Fatto quotidiano, con Carlo Di Foggia, ma nessuno ha mai raccontato il tono e l’asprezza di Mazzotta. E’ la piccola storia che spiega la grande ovvero il timore del ragioniere: il debito. Se Giorgetti venisse nominato commissario in Europa (per mandarcelo la Lega è pronta a spingerlo perfino in tandem con Mario Draghi; ieri a Washington, l’ex premier si è come candidato alla guida della Ue) al suo posto arriva Maurizio Leo di FdI. A destra direbbero che ora sì che la pacchia è finita. Leo ha bisogno di un Ragioniere diverso. C’è il nome. La figura adatta. Mazzotta si serve del caso Tardiola e boccia il governo con aggettivi da inflessibile del diritto. Scrive che le argomentazioni del caso Tardiola “non appaiono sostenute da puntuali riferimenti normativi o giurisprudenziali”, inoltre “preme evidenziare che il criterio dell’equivalenza in parola non può essere suscettibile di interpretazione soggettive”. Gli mette in pratica “due” sul registro.  Getta un secchio d’acqua al Dipartimento della Pa e nota che “l’interpretazione operata da codesto dipartimento non appare trovare riscontro nel costante orientamento della giurisprudenza”. Dato che il Dipartimento aveva osato sfidare Mazzotta (l’aveva fatta semplice, vabbé basterebbe una verifica e si transita) ecco la sberla di Mazzotta: “L’interpretazione è suscettibile di determinare rivendicazioni, anche economiche”. Il nome per sostituire Mazzotta è quello della “comandina”, Daria Perrotta. E’ capo del legislativo di Giorgetti e come Cassese ha un approccio severo verso “il potere oscuro”. La novità  è  che la destra  non rinuncia allo scalpo di Mazzotta. Lui si prepara alle notti bianche. Se non firma, lo stato rimane senza luce. Ne abbiamo un altro sul trattore. Il ragioniere con il forcone.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio