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Poche certezze e poca trasparenza sull'attuazione del Pnrr

Stefano Firpo

Le informazioni disponibili su quello che è il principale intervento di politica economica del nostro paese sono davvero poche e poco attendibili. Quel che è certo è che si fa fatica a spendere le risorse europee e questo non aiuta a fare del Pnrr un motore di crescita

Winston Churchill diceva nel 1939 che comprendere le intenzioni della Russia era come “risolvere un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma” . In Assonime pubblichiamo periodicamente una Nota sullo stato di avanzamento del Pnrr e ogni volta che cerchiamo di capire a che punto siamo ci vengono in mente – con malcelata ironia – le parole di Churchill. Sì perché le informazioni disponibili su quello che è il principale intervento di politica economica del nostro paese sono davvero poche e quelle poche che si possono trovare qua e là sono spesso poco attendibili.

Ma proviamo a dare qualche numero certo, nella speranza che sul Pnrr si esca fuori dalla “cortina di ferro”, per usare una locuzione coniata sempre dallo stesso Churchill, che oggi impedisce di capire con sufficiente precisione a che punto siamo. Partiamo da quei pochi numeri che possiamo considerare abbastanza affidabili.

Dei circa 192 mld del Piano, inizialmente previsti, quanti sono stati assegnati ai soggetti attuatori? Sono circa 140 mld ovvero poco più dei 2/3! E’ un buon risultato anche se non possiamo non constatare con una certa preoccupazione che – passati oltre 2 anni dall’avvio dell’attuazione – la bellezza di 50 mld sembrerebbero non avere ancora trovato un soggetto responsabile.

Quante risorse sono state versate all’Italia finora? A fine 2023 l’Italia ha ricevuto dall’Unione Europea – che spesso a sproposito critichiamo per la sua miope austerità – la bellezza di 102 miliardi di euro dal fondo NextGenEU,  di cui circa il 40 per cento sono sovvenzioni a fondo perduto. A questi se ne dovrebbero presto aggiungere altri 12,2 miliardi corrispondenti alla quinta rata maturata con il raggiungimento degli obiettivi di fine 2023. 

Di questi 102 miliardi, quanti ne abbiamo spesi? Nulla è dato sapere con precisione. Il governo su questo non ha mai prodotto e comunicato alcuna stima.

I pochi dati ufficiali, che meritoriamente l’ufficio parlamentare di bilancio ha potuto raccogliere, parlano di una spesa che a fine novembre 2023 era pari a meno di un terzo di quanto ricevuto (circa 28 mld). Se si aggiungono anche gli ulteriori crediti di imposta su misure come industria 4.0 e superbonus finanziati dal Pnrr e non ancora contabilizzati nei bilanci 2023 si può forse raggiungere la cifra di 40/42 mld che rimane ben al di sotto alla metà di quanto ricevuto. 

Insomma, si fa fatica a spendere le risorse europee e questo non aiuta a fare del Pnrr un motore di crescita. Cosa che invece è indispensabile se si vuole raggiungere l’obiettivo di crescita dell’1,2 per cento quest’anno anno come nelle previsioni del governo.
Quanta parte delle risorse Pnrr è stata messa a gara? Le stime variano all’interno di un ampio intervallo fra i 45 e i 70 mld, ma sono concordi nel dire che appena 24 mld sono state le risorse aggiudicate via gara. Il processo di aggiudicazione degli appalti va ancora a rilento nonostante la riforma del codice e le procedure speciali che interessano i progetti Pnrr.

Ma al di là dei ritardi nell’aggiudicazione dei bandi di gara e della spesa che arranca, quanti e quali risultati sono stati raggiunti? Il Pnrr è uno strumento performance-based, ovvero eroga finanziamenti solo se vengono conseguiti certi risultati. Il Piano originario era infatti costituito da 214 milestone (traguardi intermedi) e ben 313 target (obiettivi finali). I milestone raggiunti fino ad oggi (post revisione del Piano), rappresentano oltre il 64 per cento del totale. Non male tutto sommato. Tuttavia i milestone costituiscono solo traguardi di natura prevalentemente amministrativa mentre è sui target ovvero su veri indicatori di risultato – che si gioca la capacità dell’Italia di dimostrare che le risorse sono state ben spese. Ora solo il 16 per cento dei target è stato finora raggiunto.

Con la recente revisione del Pnrr e l’introduzione di una nuova – la settima – missione su RePowerEU, il Piano è stato ulteriormente arricchito e vale quasi 195 mld. Sono stati aggiunti 106 M&T e ne sono stati cancellati 16 portando la quantità complessiva di M&T a 617 il cui raggiungimento viene in molti casi posticipato rispetto a quanto previsto inizialmente. Ad esempio, dai 120 M&T previsti nel 2026 si è passati a ben 173 M&T a dimostrazione di alcune difficoltà nel percorso di attuazione che hanno spinto il Governo a posticipare diversi target.

Ma passando dalla quantità di obiettivi conseguiti, alla valutazione di quali progetti stanno andando avanti e quali invece hanno difficoltà a raggiungere i risultati attesi, la nebbia si infittisce. Su molte riforme e progetti strategici per il nostro Paese ai quali il Pnrr può imprimere una svolta decisiva, penso al progetto GOL sulla costruzione di efficaci politiche attive del lavoro, alle iniziative per ridurre l’arretrato dei nostri tribunali e a rendere più veloce la nostra giustizia, ai progetti sulla digitalizzazione delle nostre Scuole, a quelli relativi alla diffusione delle telemedicina e della sanità digitale, al consolidamento della formazione terziaria professionalizzante degli ITS, agli interventi  di valorizzazione del turismo, o allo stato di avanzamento dei progetti di infrastrutturazione della nostra rete ferroviaria e di connessione a banda ultra larga poco o nulla è dato sapere.

Questa pressoché totale assenza di trasparenza non aiuta nessuno. Non aiuta il governo nelle sue funzioni di indirizzo, gestione e monitoraggio dei progetti. Lo abbiamo visto in occasione del recente taglio su molti progetti in capo ai Comuni in sede di revisione del Pnrr quando il governo non si è accorto che molti dei fondi tagliati non erano stati spesi ma erano già stati assegnati e aggiudicati tramite procedure di gara. Senza un monitoraggio adeguato il governo rischia di trovarsi spesso in contropiede su progetti “fuori dai radar” che hanno accumulato ritardo. Non aiuta le funzioni di controllo ad esercitare un’incisiva  pressione sulla correttezza di procedure amministrative e contabili che devono anch’esse orientarsi ad una logica di risultato.

Ma soprattutto non aiuta a dare qualità al dibattito pubblico intorno Pnrr che, potendosi basare solo su scarse e frammentarie informazioni vive di aneddoti, percezioni e si fa terreno di uno sterile scontro fra controparti disinformate che infatti si scatenano sui giornali di parte ad ogni scadenza sul pagamento di una rata da parte della Commissione europea. Questo è un vero peccato perché un discorso pubblico più informato sul Pnrr potrebbe essere di grande aiuto per raccogliere spunti, avere indicazioni correttive e soluzioni alternative in un percorso attuativo che rimane irto di difficoltà, ma su cui tutti dovrebbero sentirsi chiamati a contribuire costruttivamente per il suo successo. 

Non vorremmo che sul Pnrr si chiudesse un patto alla Ribbentrop-Molotov – proprio quello che Churchill non riuscì a decifrare nel 1939 – un patto infausto fra una politica di governo refrattaria alla trasparenza e un sistema dei media capace solo di fare rumore senza curarsi troppo di informare. 

Stefano Firpo è direttore di Assonime

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