Nicola Drago - screen da Youtube

L'intervista

"Il premierato di Meloni è la riforma decisiva per l'Italia". Parla l'Ad di De Agostini

Salvatore Merlo

Nicola Drago due anni fa ha fondato l'associazione "Io Cambio" che ha un solo scopo: promuovere le riforme, anzi "la riforma". "Penso che il nostro sistema istituzionale sia come un campo da calcio pieno di buche e di fango. Non consente di giocare, attira soltanto giocatori (politici) scadenti"

La sinistra si oppone alla riforma costituzionale del premierato perché è affetta da una malattia a largo spettro infettivo: il ‘breveterminismo’. Cioè vive, come gran parte della politica del nostro paese, pensando alle prossime elezioni. E invece questa riforma va sostenuta, perché se l’Italia si dotasse finalmente di un sistema istituzionale che funziona libererebbe tutta la sua energia”. Dice così Nicola Drago, 46 anni, milanese, figlio dell’aristocrazia borghese meneghina, amministratore delegato della De Agostini. Due anni fa ha fondato un’associazione, “Io Cambio”, con un solo scopo: promuovere le riforme. Anzi “la riforma”. Tutti dicono che lei è di sinistra, dottor Drago, mentre la riforma la promuove la destra, la promuove Giorgia Meloni. “Non ho mai votato due volte lo stesso partito. Quindi non mi sento di sinistra. E nemmeno di destra. Non mi importa nemmeno chi la promuove, la riforma. Votai sì al referendum costituzionale di Matteo Renzi, per dire. Dunque penso soltanto questo, penso che il nostro sistema istituzionale sia come un campo da calcio pieno di buche e di fango. Non consente di giocare, attira soltanto giocatori (politici) scadenti. L’obiettivo dev’essere ripulire il campo. Stabilire regole chiare per il gioco. Dare certezze e continuità ai governi. Altrimenti non potremo mai intervenire seriamente nemmeno sulla giustizia, sul fisco, sul lavoro, sulle infrastrutture… Alcune di queste riforme, necessarie, sono impopolari. Come può mai un governicchio, continuamente sotto scacco dei partiti, degli alleati riottosi o degli ondeggiamenti dell’opinione pubblica, un governo che ha sempre paura di inciampare e dunque vive compulsando sondaggi, intraprendere un percorso di modernizzazione del paese? La riforma istituzionale è dunque la cosa più importante che sta accadendo in Italia. E’ come un interruttore: va azionato. Abbiamo bisogno di governi stabili e di politici responsabili del loro operato”.
 

Per questo lei ha creato una associazione, che un po’ sembra l’embrione di un partito politico? “Non ho nessuna intenzione di fare un partito. Siamo dei trenta-quarantenni, imprenditori, alcuni costituzionalisti, comunicatori… più diversi sostenitori che già s’impegnarono ai tempi della referendum di Renzi e hanno aderito al nostro appello”. Chi? “Giuseppe Lavazza, Daniele Ferrero che è il fondatore di Venchi, Davide Dattoli che è il fondatore di Talent Garden… e tanti altri. Tutta gente che vive del suo lavoro, della sua attività professionale e imprenditoriale e che capisce bene che il destino di ciascuno è legato alla capacità dell’Italia di correre e liberarsi dalla zavorra dell’incertezza”. Quindi non è un partito e non lo sarà mai? “Quando vedrò approvata la riforma, se accadrà, speriamo, potrò dire ai miei figli di avere dato un piccolo contributo”. Tutto qua? “Tutto qua”. E cosa spinge un uomo d’impresa, assai benestante, a costituire un’associazione a favore delle riforme istituzionali? “Ho lavorato per otto anni al salvataggio della De Agostini, l’azienda di cui la mia famiglia è azionista di maggioranza. Ci sono riuscito, e adesso sono spinto dalla voglia di contribuire a salvare anche il nostro paese dal declino che deriva dalla palude”. C’è del funzionalismo in queste parole: modello Berlusconi? “Un modello immensamente positivo, se si riferisce alla presidenza del Milan”. Avverto dell’ironia. Allora forse più modello Calenda? “È un complimento?”. Altra ironia. Ma a chi si ispira? “Cavour e De Gasperi, due uomini che hanno incarnato i due momenti più vitali della storia d’Italia: l’unità del paese e la ricostruzione dalle macerie della guerra”.
 

Modelli alti, e lontani. Ma tornando all’oggi, invece di Meloni cosa ne pensa? “Penso che la sua riforma costituzionale sia mossa da un genuino spirito riformista. Mi piace l’idea dell’elezione diretta, mi piace l’impianto antiribaltonista che deprime e scongiura il virus dell’opportunismo politico. Noi di opportunismo politico rischiamo di morire”. Ha mai votato per Meloni? “Non mi ricordo”. A Milano ha votato per Beppe Sala? “Non mi ricordo”. Scusi, dottore, ma non è possibile che non si ricordi per chi ha votato. “Certo che me lo ricordo, ma le voglio comunicare questa idea: non è rilevante. Nessuna proposta politica, nessuna ipotesi di scelta che ci è stata data, fino a questo momento, è stata determinante. La riforma costituzionale, invece, questa sì, è determinante”. A me sembra un modo di sfuggire alla domanda. “No, è un’affermazione che rafforza quello che dicevo prima: il sistema democratico sarà davvero compiuto quando avremo un sistema di governo efficiente”. Se alla fine non ci dovesse essere nessuna riforma? “Allora decideremo se proporre un referendum consultivo o trovare altri sistemi di ‘innesco’ riformista”. L’impressione è che lei stia entrando in politica e che sentiremo ancora parlare di Nicola Drago. “Questa è  politica, ma non è una discesa in campo”.  Mi pare lo dicesse anche il Cavaliere.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.