L'analisi
I problemi della sanità non sono solo una questione di soldi
Servono nuovi modelli: ricerca, telemedicina, contratti. La flessibilità che manca e la medicina digitale
Dell’intervento di Elly Schlein al question time, per le cronache “il duello” con Giorgia Meloni, è passato un solo messaggio: per la Sanità si spende poco, le criticità, oltre le liste d’attesa, sono nel personale mancante, dunque il governo deve spendere e abolire il tetto di spesa sul personale. Giusta la lista dei problemi, meno la loro lettura. Si potrebbe ricordare che il “tetto alle assunzioni” per cui Schlein accusa il governo Berlusconi del 2009 era già stato introdotto da Prodi nel 2007, e confermato poi da Monti e Renzi: un problema strutturale e non politico. In secondo luogo, l’accusa di pesanti tagli non è esatta. Da mesi si ripete che regnante il ministro Speranza la spesa sanitaria era aumentata, riferendola in rapporto al pil. Ma quell’incremento formale era dovuto a due fattori: le spese straordinarie per il Covid e il crollo del pil a causa dei lockdown, che facevano brillare di riflesso il dato percentuale. In realtà la spesa prevista da Meloni è in linea con i passati governi. Ma non va trascurato un punto chiave, come ha scritto qualche tempo fa il professor Vittorio Mapelli, specialista di Economia sanitaria, su Lavoce.info: “La spesa sanitaria in Italia è inferiore a quella di altri paesi perché più basso è il nostro pil”.
Senza crescita economica, le risorse per il sistema sanitario esistono solo come tasse o nuovo debito. Ma al di là della schermaglia politica c’è altro da considerare: i livelli di spesa attuali possono forse tenere in vita il sistema sanitario, ma non certo rilanciarlo. E nemmeno bastano i fondi del Pnrr, in gran parte assorbiti per le strutture. Bisogna provare a cambiare prospettiva, invece di parlare solo di soldi (che non ci sono). Ieri sul Corriere un intervento di Gloria Saccani Jotti, medico e docente universitaria, deputata di Forza Italia, suggeriva qualche idea. Ad esempio sul ruolo che può e deve avere la ricerca, nella direzione del modello “one health” e della medicina di prevenzione, che contribuirebbe anche a diminuire la spesa di cura. C’è poi da incrementare, ad esempio sulla cronicità, l’utilizzo della telemedicina, mentre la digitalizzazione può aiutare a potenziare l’assistenza domiciliare e le diagnosi a distanza (i pronto soccorso intasati). E c’è il grande tabù: ripensare (reinventare) i contratti, magari inserendo nel pubblico alcuni meccanismi di flessibilità che funzionano nel privato. Medici e infermieri vanno pagati di più, certo. Ma è importante comprendere che non se ne trovano – le scuole di infermieristica restano vuote a metà – è anche perché quel lavoro attrae meno. Anche in Svizzera, dove si guadagna il doppio, hanno difficoltà di personale. Non è solo un problema di soldi, bisogna pensare ai modelli.
L'editoriale del direttore