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L'editoriale del direttore

La scommessa del 2024 di Meloni: alzare l'asticella

Claudio Cerasa

E’ tempo di misurare la premier non solo su ciò che non ha fatto ma anche su ciò che farà. La strada è chiara: più ci si allontana dai vecchi slogan e più ci si avvicina all’Europa. E più l’Italia ne può trarre beneficio. Pistola no, grazie

Ascoltare Mattarella, ragionare sull’anno che è stato, concentrarsi sulle sfide del futuro e capire che la scommessa del nuovo anno è tutta qui: alzare l’asticella per non fare i pistola (ops!). Nell’anno appena trascorso, ci siamo concentrati su quello che Meloni non ha fatto e tanto ci è bastato per poter dire, in coro: wow, pericolo scampato. I pericoli scampati nell’anno appena concluso sono stati effettivamente molti e abbiamo registrato un sospiro di sollievo più o meno ogni mese.

Gennaio: il governo, contraddicendo se stesso, riduce uno sconto molto costoso e iniquo sulle accise, liberando risorse preziose per proteggere i più poveri dal caro energia. Febbraio: Meloni, contraddicendo se stessa, rimette mano al Superbonus, raddrizzando il modello grillino. Marzo: il governo, contraddicendo se stesso, promette di aprire le porte dell’Italia agli immigrati come mai nella storia, annunciando 500 mila nuovi ingressi nei tre anni successi attraverso il decreto “Flussi”. Aprile: il governo, superando gli imbarazzi del passato, celebra un 25 aprile impeccabile, arrivando a dire, per bocca della presidente Meloni, la seguente frase: “Noi incompatibili con le nostalgie del fascismo”. Maggio: Meloni, resistendo alle tentazioni sinistre mostrate da un pezzo della maggioranza rispetto al tema del sostegno all’Ucraina, riceve in pompa magna il presidente ucraino Zelensky, ribadendogli il fatto che l’Italia, senza giri di parole, scommette sulla vittoria di Kyiv. Giugno: all’Eliseo, contraddicendo se stessa, Meloni rinnega il lepenismo, duettando amabilmente con Macron su cosa può fare l’Europa per proteggersi dai populisti del futuro. Luglio: alla Casa Bianca, contraddicendo se stessa, Meloni rinnega il trumpismo, firma un comunicato congiunto con Biden sull’ambientalismo pragmatico e promette di fare tutto il necessario e anche di più per difendere l’Ucraina. Agosto: Meloni, offrendo qualche dispiacere al suo alleato di governo, la Lega, conferma il cambio di fase per il Reddito di cittadinanza, senza provocare eccessive rivolte sociali. Ottobre: Meloni, deludendo i suoi amici di un tempo, come Viktor Orbán, decide di sostenere il patto per l’asilo e le migrazioni in Consiglio europeo, mostrando un approccio sorprendentemente europeista sul tema più delicato per i nazionalisti. Novembre: il governo, contraddicendo la sua retorica del passato, sceglie di non prorogare il mercato unico tutelato, facendo un passo in avanti prezioso verso l’apertura alla concorrenza. Dicembre: il governo, forte del nuovo Pnrr approvato e concordato con l’Unione europea, riceve la quarta rata, chiede di ricevere la quinta entro la fine dell’anno e sottoscrive il nuovo Patto di stabilità europeo, che offre alla Commissione europea maggiori poteri nella gestione del rientro dei debiti pubblici nazionali.

 

Lo schema del 2023, in fondo, è stato lineare. Quando il governo ha rinnegato se stesso ha fatto un buon servizio al paese. Quando il governo non ha rinnegato se stesso ha fatto un pessimo servizio a se stesso oltre che al paese. E quando il governo piuttosto che essere in continuità con il passato ha scelto di portare avanti proprie iniziative, coerenti con la sua storia, ha complicato il suo cammino. Due casi su tutti: la norma sugli extraprofitti e il no al trattato per potenziare il Mes. Due bandierine identitarie, coerenti con la retorica elettorale del centrodestra, finite come sappiamo. La tassa sugli extraprofitti è stata prima approvata, poi revisionata, dunque formalmente cestinata. Il trattato del Mes è stato invece affossato dal Parlamento esponendo l’Italia a una discreta figuraccia.

Le due eccezioni, Mes ed extraprofitti, non hanno però smentito una tendenza più generale, che ci ha permesso, come dicevamo, di concentrarci molto su quello che Meloni non ha fatto e poco su quello che ha fatto. E la ragione è semplice: nel 2023 il governo, per fortuna dell’Italia, ha fatto molto poco e si è limitato a essere in continuità con il precedente esecutivo con cui doveva essere invece in discontinuità. L’anno nuovo, da questo punto di vista, è ancora più interessante da seguire perché nel 2024, a differenza del 2023, il governo sarà costretto anche ad agire, a esercitare la sua creatività e a dimostrare di essere pronto a prendere delle scelte coerenti più con l’interesse del paese che con quello dei partiti che lo governano. Ma se volessimo fare un passo in avanti e concentrarci non solo su ciò che il governo non dove fare ma anche su ciò che il governo deve fare e se volessimo dunque cercare un modo per misurare, nel nuovo anno, il coraggio del governo, potremmo farlo mettendo a fuoco alcune direttrici precise: fisco, crescita, giustizia, Pnrr, Europa e Ucraina.

Sul Pnrr, le preoccupazioni per l’anno che verrà sono inferiori rispetto a quelle che si avevano un anno fa: il nuovo Piano è stato firmato, la responsabilità è interamente nelle mani del governo e un fallimento sul Pnrr oggi sarebbe solo un fallimento di questo governo. Sugli altri punti ci sarà invece da ballare. Sul fisco: avrà il coraggio Meloni di tagliare la spesa pubblica per fare davvero una riforma di destra e tagliare le tasse? Sulla giustizia: avrà davvero il coraggio Meloni di sfidare la magistratura militante ed essere coerente con le riforme garantiste suggerite da Nordio? Sulla crescita: avrà il coraggio Meloni di usare la stabilità offerta dalla sua maggioranza per spingere il governo a occuparsi un po’ meno di marchette e un po’ più di attrattività del paese? Sull’Europa: avrà il coraggio, dopo le elezioni europee, di costruire maggioranze creative, di allontanarsi dalle tossiche destre euroscettiche, di allearsi con i suoi avversari, di lavorare a una grande coalizione per fare gli interessi dell’Italia e non solo quelli dei suoi follower?

Sull’Ucraina, infine, riuscirà Meloni a tenersi distante dalle sirene del trumpismo, di tenere fede al Patto atlantista, di non tradire Kyiv e di non barattare la difesa di una democrazia aggredita con qualche zero virgola per cento di consensi in più? Domenica sera, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ragionando su questo punto, ha ricordato quanto sia fondamentale per l’Italia non uscire dai binari del buonsenso quando si parla di politica estera, ha dato qualche lezione ai teorici del pacifismo farlocco (“sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace”; “per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi”). Ha spiegato che per capire come arrivare a una pace giusta sia necessario comprendere le cause di una guerra, serve concentrarsi sul motore dell’azione, su ciò che spinge un terrorista ad agire, sul motore del suo odio (“la guerra non nasce da sola… Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano”). E ha ribadito che la pace giusta non si raggiunge chiedendo la resa dell’aggredito (come vorrebbe fare qualcuno in Ucraina) ma si raggiunge spingendo chi ha aggredito e “scatenato” il conflitto (Putin, Hamas) a fermarsi (“occorre che [la pace] venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti”). E nel farlo ha ribadito che l’Italia, anche nel 2024, per restare dentro ai binari dell’affidabilità e della credibilità deve continuare a stare dalla parte giusta della storia, senza tentennamenti, quando si parla della difesa delle democrazie assediate, cosa che nel 2023 il governo ha fatto bene. Nell’anno appena trascorso,

Meloni, a partire dalla politica estera, ci ha offerto diverse occasioni per poter dire, in coro: wow, pericolo scampato. Giudicare un primo ministro per quello che non fa, però, significa abbassare l’asticella. E’ ora di alzarla ed è ora di misurare Meloni non solo su ciò che non ha fatto ma anche su quello che farà. La strada è chiara: più ci si allontana dagli slogan del passato e più ci si avvicina all’Europa. E più ci si avvicina all’Europa, più l’Italia ne può trarre beneficio (ed evitare di essere dominata da una classe dirigente fatta di pistola: a Biella, come sapete, durante la festa di capodanno del sottosegretario Delmastro un deputato di Fratelli d’Italia avrebbe colpito con uno sparo il genero di un agente della scorta di Delmastro). Ottimisti? Forse oltre al Mes c’è di più. Asticelle alzate, please.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.