Governo

Giorgetti tiene nel cassetto le dimissioni: "Il Mes io l'avrei votato" (e pure Fazzolari). Si scalda Tremonti

Carmelo Caruso

Prenderà sul serio i consigli dell’opposizione. Ma alla fine "deciderò io", dice il ministro dell'Economia. Dietro l'accelerazione del Mes la strategia sbagliata del sottosegretario di governo

Questi sono gli auguri di Natale di Giovanbattista Fazzolari, il numero due di Meloni. Eravamo al Senato per la manovra. Il governo ha chiesto la fiducia e l’ha ottenuta. La legge di Bilancio passa alla Camera. Chiediamo al sottosegretario, dopo la bocciatura del Mes, il sì italiano al Patto di stabilità, se ritiene il Patto soddisfacente. Con il garbo consueto ci dice che i giornalisti scrivono “stronzate”. Non ci offendiamo. E’ noto per l’eleganza. E’ un uomo fantasioso. Ha inventato la “fazzolarata”, che è la vecchia tecnica dei cavoli a merenda. Riproponiamo la domanda e ci sentiamo rispondere che dobbiamo essere noi a rispondere alle sue. Una cronista chiede se l’Italia intende modificare il Mes, l’arbiter elegantiarum spiega che “non è che si prende e si modifica un trattato”. La giornata era iniziata con un “Vai a cacare” di Gasparri rivolto a Renzi. Auguri.

   
Al Senato va in scena la coda del Mes, la bocciatura come promessa di matrimonio tra Salvini e Meloni: finché Soros non ci separi. Di mattina  Renzi provoca Gasparri sul berlusconismo. Prende in giro Forza Italia. Mai farlo con Gasparri. Giorgetti, che si separa da Giorgetti, sta invece stravaccato, per almeno venti minuti, su un divano. Accanto a lui c’è Claudio Borghi che è ormai entrato al governo come ministro “spezziamo le reni”. Staziona nella sala presidenziale dove si tiene un Cdm lampo che approva la nota di variazione al bilancio. Meloni non c’è, causa cimurro. Videocollegata fa gli auguri ai funzionari di Chigi: “L’Italia è la nostra azienda di famiglia”. Sembra di stare a Mediaset. Si attende per dovere di cronaca una dichiarazione del ministro dell’Economia, il ministro sputacchiato. Gli ha chiesto le dimissioni perfino Elly Schlein, che è un’altra sputacchiata. Gli sputacchiati di sinistra di solito fanno i segretari del Pd, poi ci sono gli sputacchiati tecnici (Monti, Fornero, Draghi) e infine c’è Giorgetti che è lo sputacchiato di Giosafat, una sorta di Giorgetti da Loyola. Per lui prendersi lo  sputo fa parte degli esercizi spirituali. Ai cronisti, prima di partire per la Libia, riesce a dire che da ministro dell’Economia (è scisso) “il Mes lo avrei votato, ma con un Giurì d’onore (il riferimento è a Conte) non era aria”. Sulle dimissioni garantisce che “prenderà sul serio i consigli dell’opposizione, anche se poi, permettete, decido io”.

    

Dicono che voglia l’Europa, fare il commissario, e che Meloni potrebbe lasciarlo partire anche perché i sostituti li avrebbe. Giulio Tremonti sarebbe la prima opzione, ma la Lega ha Federico Freni e FdI ha Leo. Per Giorgetti sarebbe una liberazione. Un giorno, da ex ministro,  potrà abbracciare finalmente Luigi Marattin, di Iv, uno che tutte le opposizioni unite dovrebbero indicare come spitzenkandidat all’Economia, ministro ombra. Si è seguito, battagliando,  tutte le puntate degli “Smessati”, la soap Mes che da undici anni inchioda l’Italia e che, statene certi, continuerà. Il solito Giorgetti, che in Europa confidava: “Questo Parlamento non  voterà mai il Mes”, fa sapere che in futuro, “forse può essere migliorato” e che si “aprirà qualche spiraglio minimo. Forse”.  Fazzolari, che il Mes  lo voleva votare, e votare sì, la pensa allo stesso modo e “con questa occasione magari lo renderemo diverso”.

   

Da quando Bruno Vespa lo intervista come fosse Antony Blinken sta esplodendo di boria e bisogna dire che è colpa nostra, dei giornalisti. Continuiamo a lusingarlo, solo per il ruolo che ha, anche di fronte alla sua lingua alla Farinacci. La verità è che, al Senato, era paonazzo perché, come raccontano dalla Lega, ha sbagliato, lui, tutta la strategia. Il governo, e la fonte non è “stracciacula” come direbbe Fazzolari, “aveva intenzione di votare il Mes con le clausole di salvaguardia, alla tedesca, solo che ci siamo accorti che non c’era tempo. Servivano modifiche. Si sono fatti male i calcoli”. Dario Franceschini, che a volte è afono ma altre volte no, pensa che il voto sul Mes di Meloni, non è altro che una “ritorsione per rafforzarsi, per far dimenticare il voto sul Patto di stabilità, ma così si indebolisce in Europa”.

 

Ma è davvero così cattivo il Patto firmato, sul serio c’era bisogno di ricordare al mondo che loro, come diceva Bossi, “ce l’hanno duro”? Giorgetti suggeriva: “Leggetevi il Patto e vedrete che è molto meglio di quanto si pensi”. E’ la versione educata di Fazzolari, il Giorgio Armani della destra, che sprona Claudio Durigon come fosse l’allenatore dell’ Albinoleffe: “Dobbiamo  continuare a fare squadra”. E’ il loro secondo Natale al governo e anziché usare le maniere continuano con il metodo “famoce sentire, damoje”. Solo Gasparri ha imparato quando usare  bastone e  guanti di pelle. Da giorni discute telefonicamente con Daria Perrotta, capo del legislativo di Giorgetti. E’ la Biancaneve del Mef. Era al Senato, con il suo cerchietto da magistrata tra i capelli, il suo caratterino da donna tosta, “comandina”,  e si è presentata a Gasparri: “Daria Perrotta sono io. Piacere”. Si sono chiariti, forse piaciuti. L’unico Natale di destra è a casa Gasparri. C’è un regalo pure per Renzi.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio