(foto Ansa)

la kermesse

Meloni ad Atreju: "Non ci sarà verso di liberarsi di me"

Simone Canettieri

La premier nell'intervento conclusivo dell'evento di Fratelli d'Italia tira in ballo il suo anti-pantheon: da Chiara Ferragni a Saviano e Schlein. E si prepara alle elezioni di giugno: "La storia d'Europa siamo noi"

"Non vi libererete facilmente di me". Fortuna che era senza voce. E' con queste parole che Meloni chiude Atreju, parlando per un'ora e dieci minuti. Inanellando il suo anti-pantheon: da Chiara Ferragni a Roberto Saviano, da Elly Schlein a Giuseppe Conte. E poi la stampa militante, citata più e più volte, i partiti, i poteri forti e il mainstream. Non mancano i sindacati che scioperano troppo e poi firmano i contratti collettivi a 5 euro. La leader di Fratelli d’Italia che in apertura ringrazia “chi si è fatto un mazzo così per questa festa” traccia così il suo personalissimo identikit dell’anti-italiano “quello che gufa contro l’economia” e sogna governi tecnici appena lo spread sale un po’.

Sarà il palco di Atreju, ma il discorso fiume di Meloni è un attacco duro ad alzo zero verso l’altro mondo, quello che non le piace e quello che la contesta. E quindi: non esistono più i comunisti di una volta, se Schlein non vuole venire a confrontarsi qui. Oppure Conte diventa il protagonista di Ecce bombo, e lo si nota di più se. Il capo del M5S viene messo sullo spiedo dell’imbarazzo per il suo gratuitamente, avverbio usato per raccontare il superbonus che “invece ha creato un buco grande come 4 finanziarie”.  

I grillini diventano il partito della disonestà, Ferragni una cattiva maestra ( "Il vero modello da seguire non sono gli influencer che fanno soldi a palate indossando abiti, mostrando borse o addirittura promuovendo carissimi panettoni con cui si fa credere che si fa beneficenza e il cui prezzo serve solo a pagare cachet milionari”). Con Saviano è facile e nemmeno inedito: lucra sulla narrazione della camorra e poi alza il ditino dal pulpito di un attico a New York. Capiti e messi in riga i nemici, Meloni dice che “la storia siamo noi” e fa l’elogio da destra dell’europeismo. E’ un comizio lungo e denso di applausi, com’è normale che sia. “Non c’è verso di liberarmi di me”, dice sul finale. Segue l’Inno con felpa blu estoril.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.