(foto Ansa)

Il colloquio

La reinvenzione dell'antifascismo secondo l'astoriologo Scurati

Nicola Mirenzi

Nel suo nuovo libro lo scrittore sostiene che la democrazia è di nuovo minacciata. E fa un appello all'antifascismo civico. Peccato che dimentichi di notare che non tutti gli antifascismi sono democratici

Il più grande storico del fascismo, Emilio Gentile, qualche anno fa coniò il concetto di “astoriologi” per definire coloro che pensano alla storia come qualcosa che “mai si ripete ma sempre ritorna in altre forme”. Aveva in mente Umberto Eco e la conferenza che tenne il 25 aprile 1995, dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, diventata in seguito un volume dal titolo Il fascismo eterno, riferimento di chiunque pensi che il fascismo non smette mai di riproporsi nella storia, indossando sempre vesti nuove. Proprio questo classico dell’astoriologia Antonio Scurati cita per accreditare la tesi del suo ultimo libro, Fascismo e populismo (Bompiani), secondo il quale esisterebbero due Benito Mussolini: il primo inventore del fascismo; il secondo “ideatore di quella prassi, comunicazione e leadership politica che noi oggi chiamiamo populismo sovranista”. Dal quale verrebbero, “consapevolmente o inconsapevolmente”, i vari Donald Trump, Jair Bolsonaro, Viktor Orbán, Matteo Salvini e anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E’ “la linea di discendenza tra il fascismo storico e la politica odierna”.

 

La tesi di Scurati – autore di un grande romanzo in tre volumi sul fascismo – deve essere stata particolarmente apprezzata dalla segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, se ha deciso di invitarlo a tenere un monologo sul tema alla giornata inaugurale della contro-Atreju dem, oggi e domani a Roma. Nel suo nuovo libro da saggista, Scurati sostiene che la democrazia è di nuovo minacciata. Stavolta non di essere spazzata via, come fu un negli anni Venti del secolo scorso, bensì di deteriorarsi qualitativamente, corrodendosi. Processo che avverrebbe attraverso alcuni metodi che i partiti sovranisti e populisti hanno ereditato dal Mussolini inventore dei codici della contemporaneità. Ossia l’identificazione del capo con il popolo, l’antiparlamentarismo, l’appello sistematico alla paura, la sua traduzione in odio, la brutale semplificazione della vita moderna, il nemico da abbattere: ieri il socialista quinta colonna del bolscevismo, oggi lo straniero. 

 

Contro questo pericolo, Scurati invita a una reinvenzione dell’antifascismo “dei nostri padri e dei nostri nonni”, intaccato negli anni Novanta, quando la caduta del Muro di Berlino generò l’illusione che la democrazia fosse ormai data una volta per tutte. Il suo appello è a un antifascismo civico, in cui tutti si possano riconoscere. Significativamente, Scurati omette l’altra verità che la caduta dell’Unione Sovietica stabilì: ovvero, che non tutti gli antifascisti sono democratici (Stalin e compagni insegnano), mentre tutti i democratici sono antifascisti. Lo insegnò all’Europa occidentale, ancora imbevuta di marxismo, Milan Kundera, maestro del pensiero antitotalitario. Parola che Scurati non usa mai in tutto il libro. Benché siano stati proprio i primi antifascisti – il liberale Giovanni Amendola, il popolare Luigi Sturzo, il democratico Luigi Salvatorelli – a cogliere la novità “totalitaria” del fascismo. E a opporvisi.

 

Privato della violenza, del partito milizia, della coerenza dottrinale, il ritorno del fascismo in forme diverse è stato già pronosticato in Italia dall’autorevole esponente socialista Lelio Basso, nel libro del 1951 Due totalitarismi. Fascismo e Democrazia Cristiana, poi da Palmiro Togliatti, dai gruppi della sinistra extraparlamentare degli anni Settanta e in seguito anche dagli avversari di Craxi, raffigurato nelle vignette di Forattini come il Duce. In Francia, il fascismo è stato attribuito persino al generale antifascista Charles De Gaulle, quando creò la Quinta Repubblica. Ma negando al fascismo gli “attributi che gli sono appartenuti, e che lo hanno caratterizzato, come partito, come ideologia, come regime di Stato”, scrive Emilio Gentile nel suo libro “Chi è fascista”, si riduce il fascismo a “un vocabolo che può significare tutto e niente”. Concetto di cui nessuno storico saprebbe che farsene. Mentre è pane per i denti degli astoriologi.

Di più su questi argomenti: