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Sulla lista del cda il ddl Capitali tutela le minoranze

Roberto Sacchi

È provinciale importare soluzioni americane proprio mentre negli Stati Uniti vengono messe in discussione 

E’ in corso un vivace dibattito sul disegno di legge Capitali, licenziato dal Senato e attualmente in discussione alla Camera dei deputati. Mi concentro sulle previsioni in materia di presentazione di una lista di candidati, in occasione del rinnovo degli amministratori, da parte del cda uscente. Esse appaiono ispirate dalla condivisibile preoccupazione di adottare cautele volte a evitare una indiscriminata utilizzazione di questo istituto nell’attuale quadro legislativo e alla luce degli assetti proprietari che connotano il mercato italiano.

La possibilità che il cda uscente, presenti una propria lista “lunga” (cioè una lista contenente un numero di candidati pari quantomeno al numero dei posti riservati dallo statuto alla lista che riporta il maggior numero di voti) è di grande attualità.

Oggi non è realistico contestare la legittimità in Italia della lista del cda: la clausola che la prevede è ampiamente presente negli statuti delle società quotate ed è prevista dal Codice di Corporate Governance. Anche il Richiamo di attenzione Consob del gennaio 2022, che esamina i problemi creati da questo istituto, ne presuppone implicitamente la legittimità.

Questo non esclude rischi nei sistemi anglosassoni a proprietà diffusa (possibile autoreferenzialità e autoperpetuazione del management) e, a maggior ragione, in quelli a proprietà concentrata (incremento della possibilità che i soci di controllo strumentalizzino la lista del cda), evidenziati anche nel Richiamo di attenzione Consob. 

Sulla lista del cda vi sono due tesi di fondo: i) la lista del cda svolge una funzione utile anche ove i soci abbiano presentato una o più liste lunghe; ii) la lista del cda ha soltanto una funzione residuale, per cui la sua presentazione è giustificata solo se nessun socio presenta una lista lunga. 

Sono favorevole alla seconda opinione e cioè alla tesi che il cda uscente può presentare una lista solo quando non vi sono liste lunghe presentate da soci. Questo, infatti, è l’unico caso in cui la lista del cda ha una funzione che giustifica i rischi a essa collegati. Secondo me questa tesi può essere accolta già con le attuali regole, senza che siano indispensabili riforme, che restano comunque auspicabili. 

In senso contrario non si può usare l’argomento che il cda uscente può dare un contributo tecnico alla formazione del nuovo consiglio. Questo è vero, ma a tal fine è sufficiente che il cda uscente indichi i criteri di composizione quali-quantitativi del nuovo consiglio. Chi sostiene il contrario confonde i criteri di composizione del consiglio con l’indicazione dei singoli nominativi dei candidati. 

Quanto dico di seguito, però, prescinde dalle considerazioni svolte fin qui e utilizza argomenti accettabili anche da chi ha una posizione opposta alla mia. Normalmente, la discussione viene svolta in questi termini: chi non pone limiti all’uso della lista del cda sostiene che questo accorcia le distanze tra il sistema statunitense e quello italiano, attraendo investimenti dei fondi stranieri;  chi aderisce alla tesi opposta sottolinea la diversità tuttora esistente, sotto il profilo degli assetti proprietari, tra Stati Uniti e Italia, che giustifica la scelta di non generalizzare la lista del cda, non coerente con la contrapposizione tra maggioranza e minoranza, ancora oggi caratteristica del nostro paese e alla quale si lega la riserva di almeno un amministratore all’eventuale lista di maggioranza.

In questo modo, la lista del cda viene presentata come simbolo del “nuovo”, costituito dal ruolo forte dei fondi, mentre la tesi opposta, nella stessa logica di chi la sostiene, sarebbe la difesa del “vecchio”, ossia del ruolo degli investitori industriali. Il problema, però, va completamente reimpostato, se si vuole tener conto dei più recenti sviluppi del dibattito negli Stati Uniti sul ruolo dei fondi. 
Negli Stati Uniti attualmente vi è preoccupazione per l’atteggiamento passivo di molti fondi, che non hanno sufficienti incentivi a sostenere i costi del monitoraggio sulla gestione della società. Questo trova riscontro anche nel comportamento degli operatori, che in vari casi stanno trasferendo il voto direttamente ai sottoscrittori delle quote dei fondi (pass-through voting).

In quest’ottica, l’utilizzazione generalizzata della lista del cda disincentiva forti investimenti azionari diretti, in quanto chi compie investimenti di questo tipo in genere lo fa con una logica non solo finanziaria e intende partecipare in modo propositivo alla individuazione degli amministratori. 

E’ innegabile la contraddizione tra x) una eventuale scelta italiana che, consentendo la presentazione senza limiti della lista del cda, disincentiverebbe l’investimento diretto da parte di grandi capitali con approccio attivista e y) la tendenza americana a mettere in discussione il ruolo dei fondi passivi e a reagire, anche sul piano della prassi, al passive investing.

Per evitare questa contraddizione e controllare gli inconvenienti collegati alla presentazione della lista da parte del cda si potrebbe prevedere la decadenza della lista del cda nell’ipotesi in cui venga presentata una lista lunga da parte di soci, quantomeno nell’ipotesi in cui i soci che presentano quest’ultima lista sono portatori di una percentuale (da determinare) del capitale sociale superiore a quella minima richiesta per la presentazione della lista. Se si adotta questa soluzione, gli amministratori, in adempimento del loro dovere di diligenza, prima di decidere l’eventuale presentazione di una lista da parte loro, devono verificare, nell’ambito della politica di engagement con i soci più rappresentativi, che non vi siano soci disponibili e intenzionati a presentare una lista lunga. Inoltre, occorre eliminare lo sfasamento, previsto dal disegno di legge Capitali, tra il termine per la presentazione della lista del cda e quello per la presentazione delle altre liste, per evitare che, dopo l’istruttoria compiuta dagli amministratori entro il primo termine, nell’intervallo tra il primo e il secondo termine si verifichino dei fatti nuovi dei quali gli amministratori non abbiano potuto tener conto nell’ambito dell’istruttoria appena menzionata. 

Se non si condivide l’ipotesi qui avanzata, la soluzione adottata con l’art. 12 del disegno di legge Capitali è consigliabile, perché introduce alcune previsioni che possono contenere i rischi legati alla presentazione della lista da parte del cda uscente e, in questo modo, evita che, ancora una volta, il provincialismo ci induca a importare soluzioni dagli Stati Uniti (qui, la lista del cda), mentre in quel paese il sistema che le ha prodotte (contraddistinto dalla passività di molti fondi) è messo in discussione. 

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