Presidente di Arera, Stefano Besseghini - Ansa 

Il commento

Dodici anni dopo il referendum grillino sull'acqua, l'Italia ha trovato un modello vincente  

Giorgio Santilli

Quella di Arera rappresenta una soluzione ammirevole ma nella gestione dei servizi idrici nel nostro paese permangono ancora delle criticità da risolvere 

Chi ricorda il referendum del 12-13 giugno 2011 sull’acqua “bene comune”, vinto con il 54 per cento di partecipazione e il 92 per cento di sì, che proponeva il ritorno di stato ed enti locali nelle gestioni idriche, al grido di “basta con i profitti” e “fuori le imprese dal business dell’acqua”? Di quella consultazione, che aprì la stagione populista e la strada al trionfo di consensi del Movimento Cinque Stelle, non è rimasto praticamente nulla. Per fortuna, verrebbe da dire, a dispetto di quelli che hanno gridato in questi anni al “referendum tradito”. Un dibattito per cambiare rotta dopo la consultazione non ci fu, in effetti. Ma i dodici anni seguiti al referendum sono un manuale di quello che la politica può fare per depurare le contestazioni degli aspetti ideologici e tradurle in modelli di gestione efficiente.


Il modello vincente qui è la regolazione economica gestita dall’Autorità che ora si chiama Arera (la stessa dell’energia e dei rifiuti). L’emendamento che avviò il percorso, per dare risposta al referendum, porta la firma di due ministri ancora oggi sulla breccia, Anna Maria Bernini e Raffaele Fitto (allora rispettivamente ministri delle Politiche Ue e delle Regioni). Fitto era stato anche il proponente della generosa riforma pro-concorrenziale dei servizi pubblici locali affondata dal referendum. La regolazione economica ha garantito ai gestori (gruppi quotati in Borsa come Iren, A2A, Hera, Acea o spa miste con partner industriali privati in minoranza) tariffe certe in cambio di tanti investimenti per potenziare o rinnovare la rete e migliorare il servizio. I profitti ci sono ancora ma un’Autorità occhiuta vincola gran parte degli introiti tariffari a investimenti. I dati Arera aggiornati – analizzati oggi dalla newsletter cresmedaily.it n. 4 – parlano di investimenti annui più che raddoppiati (+136 per cento) dai 2.142 milioni del 2016 ai 5.060 milioni l 2023. Crescita del 45 per cento, nello stesso periodo, da 13.780 milioni a 19.992 milioni, della Rab (il capitale investito netto riconosciuto dal regolatore). Costi operativi stabili a 5 miliardi annui, con l’effetto di aumentare la quota di spese in conto capitale sul totale dal 30 al 47 per cento. Capacità di realizzazione degli investimenti dall’83 per cento del 2016 al 95 per cento nel 2021. Aumento medio delle tariffe del 5 per cento nel 2022 e oscillanti fra il 4 e l’8,5 per cento nel 2023 (costi energetici compresi) per due terzi delle gestioni. Negli anni del referendum gli investimenti non raggiungevano il miliardo e nei venti precedenti erano prossimi a zero.


La regolazione affidata ad Authority indipendenti ha il pregio di misurare i fenomeni o i risultati di una policy. Il miglioramento della qualità del servizio, per esempio, è rappresentata così: riduzione di 12 punti delle perdite idriche lineari e 4,4 punti rispetto al dato iniziale del 41 per cento; riduzione media del 32 per cento delle “interruzioni del servizio”; riduzione del 62 per cento degli allagamenti e sversamenti da fognatura. Arera misura anche le performance generate da un investimento e l’impatto sul servizio, metodo poi elevato a regola aurea dal Pnrr: così furono definiti target e risorse nella discussione per portare 2,9 miliardi Pnrr al capitolo riduzione di perdite. Tutto a posto, quindi? No. Restano criticità da risolvere allargando il raggio di azione di Arera e fondando una politica economica per il settore: 


1) permane un Water Service Divide a danno del Sud: l’investimento medio annuo per abitante nel 2020-2023 è 71 euro al Centro, 58 nel Nord-Est, 49 nel Nord-Ovest e 32 al Sud; l’interruzione della fornitura idrica è di 204 ore annue nel Sud, 32 al Centro e un’ora scarsa al Nord; 
2) restano gestioni in economia svolte da uffici comunali e micro-concessioni, ancora non soggette ad Arera: i grandi gruppi e i gestori industriali, uniti dalla Carta dell’acqua di Utilitalia, si propongono per subentrare, purché finalmente si applichi la legge in queste enclave; 
3) servono semplificazione ulteriori per accelerare gli investimenti: secondo uno studio di Ref la mancata esecuzione nasce da “tempi dilazionati per il rilascio di autorizzazioni e per l’affidamento dei lavori”;
4) sono del tutto assenti vincoli al consumo e regole tariffarie trasparenti per gli usi industriali e agricoli che consumano il 75 per cento dell’acqua; 
5) servono politiche per affrontare i cambiamenti climatici e la siccità e ridurre il consumo negli usi diversi dal civile, migliorare gli approvvigionamenti a monte e aumentare gli stoccaggi. 


L’Arera ha proposto nuovi incentivi ai gestori perché si facciano carico di queste azioni meno remunerative, ma fondamentali per l’equilibrio dell’assetto idrico generale. E il ministro delle Infrastrutture Salvini ha messo in campo, sulla spinta degli obiettivi Pnrr, un piano nazionale dell’acqua dedicato a riduzione di perdite e sicurezza idrica. Le regioni hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa e alla scadenza hanno presentato 560 proposte, a conferma di come l’emergenza acqua sia oggi – forse più di strade e ferrovie – in cima ai pensieri dei politici locali. 

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