Il caso

Schlein non parla di Giambruno, ma telefona a Meloni: "Patto per la violenza sulle donne"

Simone Canettieri

La segretaria del Pd è l'unica leader dell'opposizione a non essere intervenuta sulle vicende familiare della premier: "Non voglio entrare in questi dinamiche, non mi interessano", dice al Foglio

Non parla in pubblico del caso Giambruno, ma conversa in privato con Giorgia Meloni. “Attenzione, ho parlato con lei di temi che interessano agli italiani”. Cioè? “Ci siamo sentite con la premier mercoledì per sbloccare la legge sulla violenza di genere che alla fine, con alcune correzioni che ho proposto, è stata approvata all’unanimità dalla Camera”, rivela al Foglio Elly Schlein nell’ascensore che la porta al vertice del Pse al quinto piano del centro congressi Coudenberg. “Hola”, la saluta Pedro Sanchez. “Ciao, come stai?”, le dice in italiano Frans Timmermans (tifosissimo della Roma). Foto di famiglia, buffet e poi tutti seduti intorno a questo tavolo a ferro di cavallo. Di sotto tre artisti di strada (turchi) da ore non fanno che suonare “Bella ciao”. Tentano la connessione sentimentale con i leader rossi. Invano.  


Da quando non si parla d’altro, lei si volta altrove. Schlein si è data una regola: non commentare la vicenda personale (diventata turbo politica) che ha investito la famiglia Meloni. E’  l’unica a farlo. Dall’opposizione, con diverse pettinature, sono tutti intervenuti: da Carlo Calenda a Nicola Fratoianni, passando per Giuseppe Conte e Angelo Bonelli. “Non voglio entrare in queste dinamiche, non mi interessano”, è la linea, mandata ormai a memoria, della segreteria del Pd, così attenta alla propria sfera personale. La notizia però è che da donna a donna, da leader a leader, ieri l’altro ha parlato con la premier. Chissà se le avrà detto ciao come stai. Chissà cosa si sarà sentita rispondere. Impossibile saperlo, l’argomento è tabù.  “Certo, non è meglio parlare del fatto che siamo riusciti a far togliere il semplice ammonimento amministrativo nei reati legati alla violenze di genere e che abbiamo ottenuto anche una prima apertura sulla formazione degli operatori nelle scuole? E poi abbiamo ottenuto una misura sull’allontanamento dalle case dei soggetti pericolosi e violenti”, rivela ancora la segretaria che sull’argomento ha triangolato anche con la ministra della Famiglia Eugenia Roccella. Schlein qui Bruxelles è accompagnata da Peppe Provenzano, responsabile degli esteri. Guida il medio oriente (“Borrell finalmente ha tirato fuori gli attributi”, commenta Provenzano). La segretaria del Pd ci dice anche “serve una pausa umanitaria in Palestina”. E non reclama più “il cessate il fuoco”, come auspicato in un primo momento.

 

Sul Mes spiega a Meloni che va ratificato “perché ne va della credibilità dell’Italia”. Questo contesto l’aggrada. Cambia lingua a seconda dell’interlocutore tipo Google translate. Sorride tantissimo. E’ la sua tazza di te, molto più che il Transatlantico, a Roma. Si vede da come si muove qui nella sala dove sta per iniziare il vertice. Ecco Paolo Gentiloni, e scatta la conversazione fra i due. Va bene essere discreti e lavorare insieme sui temi, ma Meloni resta sempre un’avversaria. Sicché la segretaria del Pd a un certo punto va giù dura: “La premier deve dire al suo amico Orban che dall’Unione europea non può solo ricevere invece sui migranti l’Ungheria blocca i flussi e calpesta i diritti umani”. Palco e retrobottega, sciabola e comprensione e rispetto femminile. Sono i due registri brussellesi di Elly brussellesi che non ha trovato il tempo per incrociare, nemmno per un caffè, il suo predecessore Enrico Letta, anche lui qui per portare avanti l’incarico sul mercato unico. Schlein riparte con una promessa strappata ai leader: il congresso del Pse per scegliere il candidato alla Commissione si svolgerà a Roma in primavera. Un modo per tirare la volata del Pd alle Europee. Poi se ne va, sigaretta elettronica e sorriso. Oggi Conte l’aspetta in piazza, o forse non vede l’ora che non venga.
           

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.