Salvini si gode il successo di AfD in Germania e rilancia la sfida a Meloni. Che si nega agli alleati polacchi

Valerio Valentini

Alternative für Deutschland è il secondo partito in Assia e Baviera. E il leghista cita Brecht: "Ora vogliamo mettere il veto al popolo?". Tajani non ci sta: "Mai con gli estremisti". Ma sul tema delle alleanze europee la guerriglia prosegue. Intanto la premier, inquieta per le mosse del ministro dei Trasporti, rinuncia a esporsi in sostegno del PiS di Morawiecki 

Succede perfino questo: che nella Lega si citi Bertolt Brecht. La frase è nota: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. Ed è a quella frase, a quella provocazione, che Matteo Salvini s’aggrappa, all’indomani del voto regionale in Germania, per rilanciare la sua sfida a Giorgia Meloni. “AfD si afferma come secondo partito in Germania”, ragiona coi suoi confidenti il leader del Carroccio. “E se si considera che il Rassemblement National è  in testa ai sondaggi in Francia, mi chiedo come si possa pensare di porre veti alle forze più votate nei due maggiori paesi europei”. Rieccola, la battaglia di Salvini. Rieccola la competizione interna alla destra italiana, con Meloni che si muove sul filo e Antonio Tajani che fa il controcanto al collega vicepremier. Per quanto può durare?

Durerà, in effetti. Almeno fino a giugno. “Le alleanze in vista delle europee? Se ne riparlerà dopo il voto con un quadro generale ben delineato”, spiega Giangiacomo Calovini, capogruppo di FdI in commissione Esteri alla Camera, quasi a voler liquidare la discussione. Che tuttavia si manterrà animata, e già scritto, fino alle elezioni,  anche perché è funzionale a tutti  i partiti coinvolti, quelli del governo, ciascuno desideroso di presidiare il suo terreno. Per questo il ministro degli Esteri non ha neppure bisogno di leggere le agenzie coi commenti dei leghisti al voto in Assia e in Baviera per ribadire che “è una questione di valori, prima ancora che di consenso: con gli estremisti, con chi propone classi differenziate per i bambini disabili, come può il Ppe cercare un dialogo?”. Il riferimento è all’AfD, ovviamente. E però, a sentire che Tajani ne fa una questione di principio, Stefano Candiani, leghista tutto d’un pezzo, scuote il capo: “La politica si fa con numeri e idee. Non coi veti e col vuoto”.

Realpolitik, insomma. Solo che pure sul modo d’intenderla, la realpolitik, tra Lega e FI si fa a capocciate. Perché se per Tajani “tanto più forte sarà la minaccia estremista, tanto più risoluta sarà la definizione del perimetro delle alleanze da parte dei partiti europeisti egemoni a Bruxelles”, insomma maggioranza Ursula a profusione, per la Lega, dice chi raccoglie le riflessioni di Lorenzo Fontana, presidente della Camera e responsabile Esteri del partito, la dinamica è opposta. “Perché questa conventio ad excludendum non potrà esercitarsi per sempre su partiti che rappresentano porzioni enormi di popolo europeo, e questo i partiti della destra cosiddetta moderata o lo capiscono per tempo oppure saranno  travolti”: ecco la sintesi dei ragionamenti attribuiti a Fontana, che del resto è stato il più convincente dei consiglieri di Salvini nel persuaderlo a non cercare la svolta al centro, il dialogo col Ppe auspicato da Giancarlo Giorgetti o  Riccardo Molinari, e a ribadire il collocamento della Lega nel gruppo degli ultrasovranisti. Di qui l’invito a Pontida per Marine Le Pen; di qui l’esultanza per l’AfD a ridosso del 15 per cento nel Land di Monaco, oltre il 18 in quello di Francoforte. Di qui, insomma, il progetto di “attaccare Meloni da destra”, anche con trovate più o meno spericolate sul fronte della diplomazia europea. Ecco perché ieri il ministro dei Trasporti ha fatto la sua incursione al Brennero: “Per la prima volta nella storia, il governo italiano farà ricorso alla Corte di giustizia europea per chiedere di fermare un atto illegittimo”, e cioè i blocchi alla frontiera disposti dall’Austria. Alè.

Inevitabile che Meloni sia inquieta. Prova, da un lato, a ridimensionare le trovate di Salvini.  “Che ha tutto il diritto ad essere contento del risultato dell’AfD visto che è un suo alleato europeo”, prosegue non a caso Calovini, “ma quello che emerge è il rafforzamento della Cdu in Assia così come la tenuta della Csu in Baviera che avvengono in un contesto in cui non c’è alleanza con i socialisti: un rafforzamento delle forze conservatrici quando queste non governano con le sinistre ed è la linea che cercheremo di portare anche in Europa”. D’altro canto, nel recitare la parte dell’intransigente senza remore, Salvini costringe Meloni a misurare ogni mossa col metro di chi potrebbe rimproverarle l’abiura, l’adesione all’europeismo delle grandi coalizioni. E’ in questa strettoia che la premier è costretta a pensare sul da farsi, in questa settimana. Perché domenica si vota in Polonia, e il suo amico e alleato del PiS, il premier uscente Mateusz Morawiecki, ci terrebbe eccome a un rinnovato sostegno da parte della “cara Giorgia”. Solo che a Varsavia si gioca una partita che  attraversa l’intero centrodestra europeo, visto che il Ppe è tutto schierato a sostegno di Donald Tusk, che di Morawiecki è acerrimo rivale. E Meloni sta lì, nel mezzo tra gli amici di sempre che non vuole abbandonare e quelli di domani con cui non vuole compromettersi. E a Palazzo Chigi dicono che no, non si esporrà. Forse anche per scaramanzia. Lo ha fatto per Vox, in Spagna, e non è andata bene.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.