Le opposizioni contro lo scostamento. Nadef sulla graticola. Inizia l'autunno complicato di Meloni

Valerio Valentini

Il Pd segue la linea dettata da Vincenzo Visco: "Nessun sostegno al governo sulla manovra senza fondi per la sanità". Il Mef teme il giudizio dell'Ufficio parlamentare di Bilancio su crescita, debito e Pnrr. E sul mes la premier teme le mosse di Salvini. Il leghista Crippa: "Noi non abbiamo cambiato idea, sul Fondo salva stati. E Giorgia?"

Alle tre del pomeriggio, un manipolo di deputati meloniani mette in fila le insidie che si profilano all’orizzonte. Sono stati istruiti, al riguardo, dai vertici del partito, in riunioni svolte nei giorni scorsi. L’ultima, la sera prima, in Via della Scrofa. C’è il Piano Mattei, anzitutto, da definire.  Quindi l’incognita della Via della Seta che verrà sciolta. “Basterà una mozione, a metà novembre, nulla di più”. Il tutto nel mezzo di una sessione di bilancio che si rivelerà assai complicata, se è vero che già martedì l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) avanzerà critiche alla Nadef. “E poi c’è sempre il Mes”. E qui, il ghigno dei patrioti, davanti al caffè, si fa tirato. “Con la Lega è un bel casino”.

Giulio Tremonti, e non da oggi, suggerisce ai suoi che la soluzione starebbe nello sminuire: “Ma sì, ratifichiamolo questo Mes, cosa volete che sia?”. Più che pericoloso, insomma, per il presidente di quella commissione Esteri che già in estate, sul Fondo salva stati, ha visto la maggioranza optare per la diserzione per evitare spaccature, il Mes è “sostanzialmente inutile”. Lo va ripetendo da gennaio, in verità, l’ex ministro dell’Economia. E certo nove mesi fa sarebbe stato tutto più facile, con Matteo Salvini che ancora non era ossessionato dalle europee. “E invece ora non vede l’ora di metterci in difficoltà”, sbuffano in FdI. 

Andrea Crippa, che della guerriglia leghista è generale supremo, solca il Transatlantico con passo di carica: “Non è che noi vogliamo mettere in difficoltà il governo. E’ che sul Mes continuiamo a pensare quel che abbiamo sempre pensato, e cioè che non va ratificato. Che è, mi pare, quel che anche Meloni ha detto per anni. Se poi la presidente del Consiglio, sulla base di notizie che noi non abbiamo, ritiene che sia nell’interesse della nazione cambiare linea e rimangiarsi le promesse, ce lo dica e noi ne prenderemo atto e valuteremo il da farsi”. 

Non saranno gli unici, a dover valutare. Perché le convulsioni della maggioranza interrogano pure le opposizioni. Perché se la dissidenza leghista si esprimerà con un abbandono dell’Aula al momento della ratifica, che verosimilmente dovrà avvenire entro la prima decade di dicembre, magari il tutto si risolverà con una figuraccia, e nulla più. Se invece Salvini dovesse ordinare ai suoi una mossa più clamorosa, magari un’astensione o un voto contrario, allora starà al Pd decidere se offrire, in nome della responsabilità europeista, un soccorso a Meloni, oppure lavarsene le mani, come farà il M5s, ed evidenziare le spaccature del governo. Elly Schlein è tentata dalla seconda ipotesi. Ma nel partito non mancano le voci di chi invece dice che no, tirarsi indietro su un tema del genere non si può.

Si dovrà, invece, sullo scostamento di Bilancio. Perché lì la linea oltranzista del Pd, che verrà ratificata dalla direzione di oggi, è stata in realtà già indicata lunedì scorso, nel corso di un seminario organizzato dal responsabile Economia di Schlein, Antonio Misiani, e che ha visto come oratore principale Vincenzo Visco. “Perché votare uno scostamento di bilancio quando il governo rivendica che la crescita italiana è la migliore d’Europa?”, ha suggerito l’ex ministro del Tesoro. “E senza neppure avere uno straccio di garanzia sui fondi alla sanità? Dobbiamo offrire i voti del centrosinistra per il Ponte sullo Stretto e la Flat tax? Se la votino da soli”. La suggestione è piaciuta. Anche perché l’ultima volta che la maggioranza si misurò col voto sullo scostamento, che necessita di una maggioranza qualificata e dunque non ammette defezioni, alla Camera andò sotto. Era fine aprile, e ne venne fuori un  pastrocchio tale che perfino meloni, in quelle ore impegnata in missione a Londra, dovette ammettere: “Abbiamo fatto una figuraccia”. Perseverare, certo, sarebbe diabolico. Ma occorrerà attenzione, tra le truppe della destra, nei voti della prossima settimana: anche perché di sostegni inattesi non pare ne arriveranno, se pure Carlo Calenda e Luigi Marattin esprimono la loro perplessità per i modi con cui il governo chiede di poter rivedere i saldi di finanza pubblica. “Chiedere lo scostamento mentre si decanta il miracolo economico? Bizzarro”, spiega Marattin.

E sì che il clima, intorno alla Nadef, potrebbe farsi perfino più rovente, alla vigilia del voto. Perché da lunedì inizieranno le audizioni in Parlamento. E al Mef sanno già che, se pure da Banca d’Italia potranno arrivare delle obiezioni puntuali, sarà soprattutto l’Upb a concedere una validazione della Nota di aggiornamento al Def assai critica su almeno tre punti. Le stime di crescita troppo generose, anzitutto: quel +1,2 tendenziale previsto per il 2024, evidentemente beneficiando anche dell’effetto degli investimenti previsti dal Pnrr che però, ed è questa la seconda incongruenza, vengono rinviati per lo più al 2025 e al 2026. E infine ci sono le privatizzazioni: 20 miliardi in tre anni è un’impresa improba e ad alta probabilità di fallimento, e da quel fallimento passerebbe un ulteriore, pericoloso aggravio del debito pubblico.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.