I “tagli” alla sanità di Meloni, tra propaganda e realtà

Luciano Capone

Media e opposizioni attaccano su una riduzione dei fondi alla sanità che ancora non c'è. In realtà, i dati dicono che la spesa sanitaria con la destra al governo è prevista in crescita mentre con la sinistra e Speranza che era prevista in calo

È partito un attacco contro Giorgia Meloni sulla spesa sanitaria, sia da parte di alcuni media (“Sanità, governo sotto accusa”, titola Repubblica: “Nalla Nadef tagli per due miliardi”)  sia da parte delle opposizioni (“I numeri della Nadef ci dicono che cala la spesa per la sanità pubblica di due miliardi, ignorando le richieste dell’opposizione e smentendo lo stesso ministro Schillaci che aveva chiesto almeno 4 miliardi per la manovra”, dice Francesco Boccia del Pd (e considerazioni analoghe provengono dal M5s). Ma quanto sono fondate queste accuse alla destra che vuole disinvestire e smantellare la sanità pubblica? Quasi per nulla, al momento.

 

Partiamo dai numeri. Il presunto “taglio da 2 miliardi” si riferisce ai numeri della Nadef, appena approvata dal governo, che nel calcolo tendenziale indica un calo della spesa da 134,7 miliardi nel 2023 a 132,9 miliardi nel 2024 (-1,3%), con un passaggio della spesa sanitaria dal 6,6% al 6,2% in rapporto al pil. Ma si tratta, appunto, di una proiezione tendenziale, ovvero a legislazione vigente: non si tratta del quadro programmatico, che verrà definito dal governo con la prossima legge di Bilancio.

 

Con la Nadef il governo ha alzato il deficit programmatico dal 3,6% al 4,3%, ricavando uno spazio fiscale per la manovra di circa 14 miliardi. Bisognerà vedere quante di queste risorse saranno destinate alla sanità, se si arriverà ai 4 miliardi richiesti dal ministro della Salute Orazio Schillaci, ma affermare che nella Nadef il governo ha già stabilito un taglio delle risorse è falso o quantomeno fuorviante. Soprattutto perché, se si vogliono considerare le proiezioni tendenziali, la sinistra non ne esce meglio dal confronto.

 

Secondo la Nadef del 23 settembre 2022, l’ultimo documento approvato dal governo Draghi, quando al ministero della Salute c’era Roberto Speranza la proiezione tendenziale della spesa sanitaria era 131,7 miliardi nel 2023 (6,7% del pil), 128,7 miliardi nel 2024 (6,2%) e 129,4 miliardi nel 2025 (6,1%). Un anno dopo, la Nadef appena approvata dal governo Meloni nel quadro a legislazione vigente prevede una spesa di 134,7 miliardi nel 2023 (6,6% del pil), 132,9 miliardi nel 2024 (6,2%) e 136,7 miliardi nel 2025 (6,2%). C’è insomma, con il governo Meloni, già a legislazione vigente una proiezione di spesa sanitaria di circa 14 miliardi in più sul triennio (in rapporto al pil la spesa è più o meno analoga perché nel frattempo c’è stata una revisione al rialzo del pil da parte dell’Istat). In sostanza, se pure il ministro Schillaci non riuscisse a ottenere l’aumento di risorse richiesto, la spesa sanitaria nei prossimi anni sarebbe comunque ben superiore a quella che aveva previsto il ministro Speranza.

 

Questa differenza nel trend della spesa sanitaria è molto più chiaro confrontando le previsioni per il triennio successivo contenute rispettivamente nel Def 2022 di Draghi/Speranza e nel Def 2023 di Meloni/Schillaci. Nel primo, quando cioè il ministero della Salute era in mano alla sinistra, le proiezioni erano queste: “Nel triennio 2023-25, la spesa sanitaria è prevista decrescere a un tasso medio annuo dello 0,6%; nel medesimo arco temporale il pil nominale crescerebbe in media del 3,8%. Conseguentemente, il rapporto fra la spesa sanitaria e il pil decresce e si attesta, alla fine dell’arco temporale considerato, a un livello pari al 6,2%”. Nel secondo Def, quando il ministero della Salute è passato in mano alla destra, le previsioni sono queste: “Nel triennio 2024-2026, la spesa sanitaria è prevista crescere a un tasso medio annuo dello 0,6%; nel medesimo arco temporale il pil nominale crescerebbe in media del 3,6%. Conseguentemente, il rapporto fra la spesa sanitaria e pil, pari al 6,3% nel 2024, si stabilizza al 6,2%”. In pratica, a parità di crescita nominale, con la sinistra la spesa era prevista calare dello 0,6% mentre con la destra aumentare dello 0,6%.

 

Questa battaglia di Pd e M5s si basa anche su un’altra narrazione mistificatoria: quella secondo cui quando al governo c’era Speranza la spesa sanitaria in rapporto al pil aveva superato il 7%, mentre poi con l’arrivo della destra cala verso il 6%. Ma l’incremento in rapporto al pil della spesa sanitaria dei governi Conte è dovuto essenzialmente a due fattori: il primo, più marginale, le spese straordinarie per l’emergenza Covid; il secondo, ben più influenze, il crollo del pil a causa dei lockdown. Sono entrambi due fattori contingenti e reversibili, infatti le spese straordinarie sono finite e il pil è tornato ai livelli pre pandemia.

 

Ciò non toglie che la sanità avrebbe bisogno di un rafforzamento. Ma questi numeri, abbastanza evidenti, dovrebbero servire a sgomberare il campo dalla propaganda e, anzi, dovrebbero essere utili per aprire a sinistra una riflessione proprio sui servizi pubblici e sulla sanità. Perché proprio durante l’emergenza Covid, i governi di centrosinistra hanno evitato in ogni modo di potenziare il sistema sanitario addirittura rifiutando il Mes sanitario, che offriva allo scopo una trentina di miliardi di prestiti a tasso agevolato. In questi anni la sinistra ha invece, usando proprio il pretesto dell’emergenza Covid, preferito spendere 120 miliardi di euro (circa quattro volte il Mes sanitario), indebitando il paese a tassi più elevati, per il Superbonus e il Bonus facciate. Non si capisce bene, quindi, con quale faccia protestino ora contro la sanità definanziata che hanno lasciato ai loro successori.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali