L'intervista

Calopresti: "Il mio docufilm su Versace censurato dalla Festa del cinema di Roma"

Simone Canettieri

Il tributo allo stilista doveva essere l'evento di chiusura della kermesse con Naomi Campbell e Carla Bruni. Il regista: "Poi mi hanno avvisato del ripensamento della direttrice artistica, ma senza spiegazioni"

“È la prima volta che mi succede una cosa del genere”. Il regista Domenico – per tutti Mimmo – Calopresti qualche giorno fa ha ricevuto la telefonata surreale di Paola Malanga, direttrice della Festa del cinema di Roma, scuola Rai Cinema. “Mi ha detto che il mio docufilm non sarebbe stato proiettato, ma senza un apparente motivo, solo perché la famiglia non voleva. In particolare Santo, che di Malanga è amico”. La famiglia in questione è quella di Gianni Versace, l’uomo medusa, genio visionario autodidatta della moda italiana, ragazzo di Calabria partito da Reggio alla conquista di Milano, dunque delle passerelle del mondo, ucciso nella sua villa di Miami nel 1997 da due colpi di pistola sparati da Andrew Cunanan. Il docufilm “L’imperatore dei sogni” doveva essere l’evento di chiusura della festa dell’Auditorium, il 29 ottobre. Sul red carpet romano erano attese – per provare a uscire da una kermesse molto Grande Raccordo Anulare – Carla Bruni, Naomi Campbell e tutte le top model che considerano ancora oggi Versace “un padre, il primo che ha rivoluzionato il nostro mondo”, come racconta  Bruni in Sarkozy nell’opera censurata o comunque cassata all’improvviso dopo l’iniziale via libera. “Non vorrei che un rifiuto così strano fosse figlio dei tempi, del clima che si respira nel paese”, dice Calopresti, senza crederci troppo, senza voler passare da martire. Sembra una storia alla Boris, più che altro.  

 
È un regista engagé, Calopresti, ma l’opera in questione oltre a una zoomata sui moti di Reggio Calabria e un’intervista al compagno di Versace, Antonio D’Amico, non avrebbe turbato i patrioti entrati anche nell’ultimo bunker del Pd romano. 

 

Gianluca Farinelli, presidente della Festa del cinema di Roma con ambizioni che guardano a Venezia, a fine settembre aveva rassicurato Calopresti: il suo docufilm era piaciuto, tanto da essere la coccarda su questa edizione, il gran finale. “Poi la direttrice mi ha raccontato della richiesta di Santo Versace che era contrario alla proiezione ed essendo suo amico ha dovuto assecondarlo. Così mi ha detto. E per la prima volta da quando faccio questo mestiere mi sono trovato davanti a una scelta incomprensibile: prima sì, tutti entusiasti; poi no, tutti imbarazzati”. 

  
La biondissima Donatella Versace, fu Gianni a consigliarle di tingersi i capelli da bambina, ancora calca le passerelle con i suoi vestiti, e qualche giorno fa ha anche attaccato il governo Meloni perché “sta cercando di togliere i diritti delle persone di vivere come desiderano”.  Santo Versace, il più grande dei tre fratelli,  dopo aver lasciato il mondo del fashion si è dato alla filantropia e al cinema, tanto che guida la Minerva Pictures. Era uno dei coproduttori del docufilm. E’ stato anche a Montecitorio, eletto con il Popolo delle libertà, finì con l’Api di Rutelli prima di chiudere con la politica oscillando tra “Fare per il fermare il declino” di Oscar Giannino e “Italia Unica” di Corrado Passera. Della sorella Donatella non parla quasi mai, di Gianni sempre. A lui ha dedicato anche un libro (“Fratelli, una famiglia italiana”). Ma adesso è soprattutto un produttore cinematografico.

 


Ma insomma perché, Calopresti, la sua opera è stata cassata così all’improvviso? Se non è stata la “cinecommissione Colle Oppio” a giudicarla non idonea, cosa può essere accaduto? “Non riesco a spiegarmelo, anche perché racconto una storia italiana, l’epopea di un uomo pieno di vita che diceva sempre: c’è bisogno di vino, non di champagne, servono cose vere”. 


Il genio ribelle di Gianni Versace – figlio di una sarta  che nell’opera è Vera Dragone – è interpretato da Leonardo Maltese. E’ tutto molto avvolgente perché il film, diviso in capitoli, si mischia con i video dell’epoca. Scorrono le interviste del protagonista, le testimonianze delle modelle, le immagini del funerale nel duomo di Milano con i protagonisti di quel giorno. Elton John, Sting, la principessa Diana. E poi le top model Naomi Campbell, Carla Bruni, Eva Herzigova, la moglie di John Kennedy, Carolyn Bessette. Oltre a Gianfranco Ferrè, Giorgio Armani e Franco Zeffirelli. Tutti a piangere l’amico che portò la Magna Grecia nel jet set. Il tributo dura un’ora e dieci da bersi tutti di un fiato come quella Milano versaciana. 


E prima o poi sarà proiettato da qualche parte. Magari quando il caso di questo docufilm sarà stato risolto. Unica storia di una proiezione durata in cartellone come “Un gatto in tangenziale” (per citare il film interpretato da Paola Cortellesi che aprirà la festa di Roma con la sua opera prima da regista). Ma niente Naomi né Carlà.         

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.