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L'intervento

Renato Brunetta all'insediamento del Cnel: "Il lavoro è valore sociale"

Pubblichiamo di seguito il discorso integrale del presidente del Consiglio nazionale economia e lavoro, Renato Brunetta, in occasione dell'insediamento dell'XI consiliatura

Signor Presidente,

la Sua Presenza è, per noi tutti, un onore, un motivo di profonda gioia: consapevoli della grande responsabilità che compete a questa istituzione e alle forze sociali che la compongono.

Le formulo pertanto, anche a nome dell’intera Assemblea, il mio più vivo ringraziamento, che estendo ai Ministri Giorgetti e Calderone, agli organi dello Stato qui presenti e a tutti gli altri graditi ospiti.

Ho pensato, in questi primi mesi di presidenza del CNEL, di introdurre il mio breve discorso di avvio di consiliatura richiamando il primo articolo della nostra Carta repubblicana: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Ma se mi fermassi qui, a questa solenne e bellissima citazione, finirei per trascurare di fare i conti col dato di realtà, ma anche con la mia storia.

Perché il lavoro di cui parla la nostra Costituzione è un lavoro pagato il giusto, un lavoro dignitoso e, soprattutto, un lavoro sicuro.

“Lavorare non è morire”, come giustamente Lei ci ha ricordato nei giorni scorsi.

Se oggi il problema della sicurezza sul lavoro non è più quello delle buone leggi, che abbiamo, ma della loro effettiva applicazione, allora questo è compito di tutti, a partire dai corpi intermedi.

E il CNEL, come casa dei corpi intermedi, si impegna programmaticamente a mettere al centro di questa nuova consiliatura il lavoro come espressione di dignità e sicurezza.

Il lavoro non è una merce, non è un fattore produttivo come tutti gli altri. Il lavoro è valore sociale, capitale sociale, progetto di crescita, partecipazione, fattore di emancipazione, giustizia e benessere per tutti. Il lavoro come bene comune, con al centro la persona che, in quanto tale, si realizza nella relazione comunitaria con le altre persone.

Il richiamo alla centralità del lavoro come pilastro della convivenza democratica, terreno privilegiato di manifestazione della libertà e della dignità, porta con sé l’idea di una poliarchia, in cui espressioni diverse di poteri, interessi e saperi si bilanciano e si armonizzano in una costante tensione dialettica.

Anzitutto nel confronto tra democrazia diretta e rappresentativa.

A definirla nel dettaglio è l’articolo 99 della stessa Carta che, istituendo il CNEL, indica che “è composto di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive”, cioè dei portatori dei saperi e dei portatori di interessi.

I saperi e gli interessi compongono i corpi intermedi, ovvero quella parte di sovranità che non si collega alle urne e che, tuttavia, incarna, nelle sue diverse articolazioni, la ricchezza civile, sociale ed economica della nostra comunità.

Ciò è tanto più vero in un’Italia che, come ha acutamente osservato un mio illuminato predecessore, Giuseppe De Rita, “nella sua civiltà più profonda è un Paese della dimensione intermedia, un Paese del Sindacato, dell’Associazionismo imprenditoriale e professionale, dei distretti industriali, delle medie città, un Paese dove la dimensione intermedia è la vera ricchezza”.

Il disegno, che ho qui sommariamente richiamato, è tutt’uno con la temperie culturale in cui si realizza, attraverso la Costituzione, il compimento della democrazia e la trasformazione del vecchio stato liberale in stato sociale di diritto.

È in questa stagione che la tutela e la dignità del lavoro, il giusto salario, il sistema di previdenza e assistenza più in generale, il concetto di bene comune si affermano come obiettivi e valori di una costituzione materiale, di cui si rinviene traccia già nel Codice di Camaldoli del 1943, e che avranno nella “Carta” la loro piena legittimazione.

In questa architettura il CNEL risponde a una consapevolezza che si fa strada nella nuova classe dirigente dell’Italia repubblicana: la rappresentanza politica non è sufficiente a intermediarie tutte le istanze e ad assorbire tutti i conflitti che irradiano e segmentano la società e i processi economici.

La complessità dello Stato sociale, sovraccaricato di compiti e di domande di intervento, impone che vi siano sedi nelle quali possa essere recuperata quella visione di insieme dei grandi processi in corso, e nella quale possano avere voce e confrontarsi i segmenti sempre più articolati delle istituzioni, della economia e della società.

Come disse con icastica metafora nel suo discorso di insediamento il primo presidente del CNEL, Meuccio Ruini, qui si getta “un ponte fra i due momenti dell’esame e dell’azione” formulando “[...] conclusioni e proposte[...]”, “[...] non per intralciare Parlamento e Governo, ma per offrire loro salde e utili piattaforme di azione”.

Ne sarà un esempio l’istruttoria che stiamo compiendo sul tema del lavoro povero e del giusto salario, per incarico del Presidente del Consiglio dei Ministri, che chiama il CNEL al compito di offrire ai decisori politici e, più in generale, al dibattito pubblico, elementi condivisi di analisi e di proposta: è questa la bussola di un’azione politica competente, seria e responsabile.

Questo incarico conferma, anche, la centralità del nostro archivio dei contratti collettivi. Un corpo vivente, specchio della ricchezza delle nostre relazioni industriali: una bellissima “selva selvaggia” fatta di storie, culture materiali e conflitto, complessità, interessi e sensibilità settoriali.

Mondo, quello della contrattazione, che non tollera semplificazioni...

E proprio qui, in questa casa, si possono trovare molte delle risposte che le istituzioni europee sollecitano, e mi riferisco ai doveri di monitoraggio e di trasparenza raccomandati dalla direttiva europea, dello scorso anno, in tema di salari adeguati.

L’idea di coniugare in una stessa sede questione salariale e produttività candida, inoltre, il CNEL quale possibile laboratorio di quelle riforme necessarie per raggiungere una crescita economica socialmente sostenibile: più sviluppo, più salari, più produttività, più welfare. Più benessere...

Usciamo da un decennio che ha segnato una crisi della democrazia, crisi intesa come svuotamento della rappresentanza, e progressiva marginalizzazione dei corpi intermedi. L’illusione di una società disintermediata si è poi infranta sulle crisi globali dell’ultimo triennio, la pandemia e la guerra in Ucraína tra tutte, di fronte alle quali le democrazie hanno espresso la migliore difesa quanto più hanno messo in gioco la pienezza della propria ricchezza sociale e comunitaria, attivando cooperazioni e solidarietà capaci di fronteggiare l’emergenza.

Su scala nazionale sono prova di questo spirito i protocolli condivisi per il contrasto e il contenimento della diffusione della pandemia negli ambienti di lavoro, per trovare il giusto equilibrio tra le esigenze della produzione e la necessità di garantire condizioni di sicurezza per tutti i lavoratori, a partire da quelli più fragili.

Le rivoluzioni digitali e ambientali in atto sono le due coordinate cartesiane destinate a cambiare il lavoro e la vita di quattrocento milioni di persone nel Vecchio Continente. E una terza dimensione, quella demografica, le interseca e impone di fare i conti con un crescente invecchiamento della popolazione. Un vero e proprio inverno demografico. Processi di questa portata non sono privi di effetti asimmetrici sulle società.

C’è il rischio di aprire un solco tra “chi” dalle transizioni trae benefici e “chi”, invece, le subisce. Ed è in questi momenti che i veri protagonisti delle transizioni devono essere i corpi intermedi della società.

Se, però, gli stessi corpi intermedi cedono alla polarizzazione del dibattito politico ed economico, se si arroccano in una resistenza diffidente e conflittuale (in una sorta di neoluddismo...): sarà una sconfitta per tutti.

Bisogna tornare a reinvestire sui corpi intermedi.

Un solo esempio (tra i tanti). Di come si può elevare a responsabilità e virtù civiche gli interessi di cui i corpi intermedi sono portatori, con un valore aggiunto per tutta la collettività. Mi riferisco al progetto tra il Ministero della Giustizia e il CNEL sul tema dello studio, del lavoro e della formazione in carcere, quali strumenti di reinserimento sociale e di drastica riduzione della recidiva.

Confesso che, quando il Ministro Nordio mi ha invitato a mettere le energie del CNEL al servizio di questa sfida, di primo acchito sono rimasto spiazzato. Poi, però, ho compreso la sua piena valenza costituzionale: studio e lavoro come dignità e inclusione sociale.

Perché l’obiettivo dello studio, del lavoro e della formazione in carcere è quello di costruire, forse per la prima volta, una prospettiva vincente per tutti.

Lo ripeto: studio, formazione e lavoro per l’azzeramento della recidiva. Un Paese ricco e generoso come il nostro non può non farcela.

Il CNEL può essere, dunque, il luogo capace di trasformare i legittimi interessi di cui i “corpi intermedi” sono portatori in responsabilità e virtù civiche. Ciò vuol dire aggiornare e ridisegnare, in una visione rinnovata della nostra società, le conquiste novecentesche in tema di lavoro, salari, distribuzione dei guadagni di produttività, democrazia economica, partecipazione.

Ma vuol dire anche gestione consapevole dei flussi migratori per rispondere alla domanda di manodopera che viene dall’economia.

Migliore gestione dei flussi regolari significa più culturadell’accoglienza. Più risorse per crescere insieme nella piena cittadinanza.

L’esperienza degli ultimi tre anni ci conferma che per correggere le asimmetrie e le diseguaglianze aperte dalle crisi in atto, per guidare le opportunità della tecnica, per governare l’interdipendenza dei processi economici e civili, è necessaria una nuova economia sociale di mercato, la sola capace di attivare le energie delle libertà individuali e le garanzie delle solidarietà collettive, condivise in uno spirito sussidiario tra Unione Europea e singole sovranità, tra governo e cittadini, tra istituzioni e corpi intermedi, tra pubblico e privato.

Parte rilevante di questa responsabilità sussidiaria è la ridefinizione del ruolo del merito nelle società contemporanee, della sua misurazione e della sua giustificazione.

Poiché è in questa Sede che il merito, confrontandosi con gli interessi e i bisogni sociali, può diventare una risorsa per la collettività, nella ricerca di soluzioni condivise su problemi complessi. Merito e responsabilità, merito e generosità sociale e intergenerazionale.

E finisco con parole non mie: “Realizzare nel CNEL il confronto tra le parti sociali e la concertazione, senza escludere un loro diretto rapporto di interlocuzione con il Governo per quanto riguarda i temi generali di politica economica e sociale. La verifica di questo modello emergerà dalle vicende dei prossimi anni, ma si tratta di un interrogativo che costituisce caratteristica comune a tutte le scelte innovative”.

A questo interrogativo, a queste Sue parole scritte oltre 36 anni fa nella veste di Relatore della riforma proprio del CNEL, vogliamo rispondere oggi, Signor Presidente, come Assemblea, con la più convinta e motivata volontà positiva: nell’interesse esclusivo della Nazione.

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