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L'editoriale del direttore

Quel gran pezzo di Romagna. I soldi del governo non ci sono ma è in atto un miracolo industriale

Claudio Cerasa

Cosa sta succedendo nelle terre alluvionate? I fondi per la ricostruzione non sono arrivati, ma nei paesi più colpiti la ripresa è avviata. Cassa integrazione? No: qui si lavora lo stesso. Numeri da impazzire, dedicati a Meloni e Schlein

Zero. Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, due giorni fa ha offerto su La7, a “In Onda”, qualche numero utile per capire a che punto si trova la regione da lui governata su un tema molto delicato: il post alluvione. Quattro mesi fa, tra il 2 e il 17 maggio, un ciclone molto forte, come ricorderete, ha allagato buona parte dell’Emilia-Romagna, coinvolgendo 44 comuni romagnoli, tra le province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna, Modena e Reggio Emilia. I danni stimati dalla regione ammontano a 8,9 miliardi. I soldi stanziati dal governo in questi mesi ammontano a 4,05 miliardi. E i soldi arrivati in Emilia-Romagna in questi mesi sono prossimi allo zero. Piccola sintesi utile, per entrare nel dettaglio. Il 23 maggio, il governo stanzia con un decreto 2,3 miliardi. Il decreto tarda a uscire e quando viene depositato la cifra è cambiata: 1,6 miliardi. Così composti. Ci sono 600 milioni per la cassa integrazione, 300 milioni per gli ammortizzatori in deroga per gli autonomi, 300 milioni per le imprese che internazionalizzano, 250 milioni per il Fondo di emergenza della Protezione civile, 150 milioni messi nelle mani dei ministri per permettere loro di occuparsi di alcuni problemi specifici.

A questo decreto poi se ne aggiungerà un altro, il 5 giugno, e lo stanziamento a quel punto arriverà a 3,9 miliardi. A questi, verranno aggiunti poi altri 150 milioni, a Ferragosto. In totale siamo a 4 miliardi e 50 milioni di euro. A oggi, per essere precisi, i soldi arrivati in Emilia-Romagna non sono zero, ma sono i 400 milioni anticipati dalla regione per le spese essenziali e primarie (benzina, argini, sponde, primi soccorsi) e i 250 milioni coincidenti con lo stanziamento previsto dalla Protezione civile per offrire tremila euro alle famiglie colpite dal disastro. Per il resto, come dice Bonaccini, zero. Il problema dunque esiste, è grave e persistente ed è un problema che, per capirci, impedisce, sulla carta, di fare anche operazioni minime. Immaginiamo che a Tizio sia entrato un metro e mezzo di acqua in casa. Immaginiamo che abbia avuto tutta la casa allagata. Immaginiamo che sia stato costretto a sostituire gli infissi, a rifare gli impianti, a ricomprare i mobili, a risistemare i muri, a riverniciare la casa. Immaginiamo che queste spese ammontino a 50 mila euro. Immaginiamo che Tizio abbia ricevuto solo tremila euro. Immaginiamo che Tizio non abbia i soldi per ricostruire la sua casa. Che succede? Un bel guaio.

Un guaio molto raccontato in questi giorni – Meloni e Salvini, mesi fa, hanno promesso che lo stato avrebbe “ripagato il cento per cento dei danni”, e per pietà evitiamo di dirvi che percentuale è 200 milioni su 8,8 miliardi. Ma è un guaio dentro al quale si nasconde una storia incredibile. Positiva. Esemplare. Tra i milioni stanziati dal governo, ve ne sono alcuni, come detto, che Meloni ha scelto di dedicare a un’eventualità sulla carta non remota: cassa integrazione e ammortizzatori sociali. Il calcolo fatto dal governo era naturale: in presenza di un disastro che ha colpito uno dei motori produttivi del paese occorre predisporre il necessario per aiutare gli imprenditori a gestire una situazione complessa che richiederà inevitabilmente dei blocchi alla produzione. Se si incrociano i dati governativi con quelli della regione si scoprirà però che dei 900 milioni stanziati per aiutare gli imprenditori a gestire il blocco temporaneo della produzione ne sono stati utilizzati trenta.

Significa che nonostante il dramma vissuto con l’alluvione, le imprese romagnole hanno continuato a lavorare. Significa che nonostante i ritardi del governo, ritardi purtroppo oggettivi confermati anche dal numero di imprese internazionalizzate che hanno ricevuto i finanziamenti stanziati dal ministero degli Esteri (29, su novemila imprese colpite, per un totale di 11 milioni erogati: quasi zero, appunto), quel gran pezzo della Romagna, come direbbe forse Edmondo Berselli che a “Quel gran pezzo dell’Emilia” ha dedicato un saggio memorabile nel 2004, ha continuato a correre, a produrre, a crescere e a creare per quanto possibile benessere. E lo ha fatto senza lagne retoriche, senza demagogia, senza slogan, limitandosi a formulare due richieste semplici. Avere i soldi che le spettano dal governo, che fino a quando non avrà deciso come strutturare la manovra probabilmente continuerà a tenere i rubinetti parzialmente bloccati, e avere un’opposizione consapevole del fatto che quel gran pezzo dell’Emilia ha bisogno di un segretario del Pd consapevole che le imprese italiane non vanno punite a colpi di nuove tasse o di slogan sul Jobs Act ma vanno aiutate offrendo agli imprenditori, oltre che alle famiglie, tutti gli strumenti necessari per salvarsi da un’alluvione non meno pericolosa di quella verificatasi quattro mesi fa: l’incapacità dello stato di decidere, di essere efficiente e di essere presente, sui luoghi delle tragedie, non solo a parole, ma anche con i fatti. Dio benedica quel gran pezzo della Romagna.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.