Pasta e inflazione

Urso a caccia di colpevoli attacca Barilla. Vuole il made in Italy, ma a buon prezzo

Gianluca De Rosa

Il ministro ce l'ha con i produttori dell'agroalimentare che non hanno ancora firmato l'accordo sul trimestre anti-inflazione. "In Francia lo hanno siglato", ma le differenze con quanto accaduto oltralpe sono diverse

Adolfo Urso ha individuato un nuovo nemico. “In Italia piccola e grande distribuzione hanno già firmato un accordo per fermare i prezzi su un paniere di beni di prima necessità, mentre quegli stessi produttori che in Francia si sono accordati con il governo, in Italia lo hanno rifiutato, penso per esempio a Barilla”. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy  in un’intervista al Messaggero ha aggiunto alla sua lista degli “speculatori” dell’inflazione un  nuovo bersaglio: la multinazionale della pasta nata 147 anni fa a Parma.  Urso, come già fatto in Francia dal governo di Emmanuel Macron, vuole lanciare da 1 ottobre al 31 dicembre il trimestre anti-inflazione: tre mesi senza aumento dei prezzi dei principali beni del carrello della spesa. Ma se con i distributori l’accordo è stato siglato lo scorso 4 agosto, con i produttori, dopo l’incontro di due settimane fa, non è stata trovata una soluzione. In Francia, invece, Barilla e gli altri produttori di beni alimentari hanno aderito al piano anti-infalzione promosso dal ministro dell’Economia e dell’Industria Bruno Le Maire. Abbastanza per far infuriare Urso: “Mi aspetto che adesso facciano lo stesso in Italia”, ha detto il ministro.


La multinazionale della pasta ieri ha preferito non commentare le sue parole per lasciare la palla alle associazione di categoria, compresa Unione italiana food di cui Paolo Barilla, numero due della multinazionale, è vicepresidente. Non si escludono nuovi incontri in Via Veneto nei prossimi giorni. Ma quali sono le differenze che hanno portato la multinazionale a siglare l’accordo francese, declinando invece  quello italiano? La principale risposta, ironia della sorte, sta nel Made in Italy, la denominazione che Urso ha voluto per definire politicamente il suo ministero. Barilla produce in Italia sia la pasta commercializzata dentro i confini nazionali, sia quella distribuita nei supermercati francesi, ma il prodotto che arriva sulle tavole d’oltralpe non è lo stesso. Per il mercato italiano l’azienda utilizza solo farine di grano duro al 100 per cento italiane, mentre la pasta sugli scaffali dei supermercati francesi è prodotta con un mix di farine Ue e non Ue. Insomma, la produzione della pasta venduta in Italia costa di più. Non solo. Urso vorrebbe congelare i prezzi per tre mesi  mentre in Francia la normativa prevede che al diminuire e all’aumentare dei prezzi delle materie prime oltre certi range possano variare anche i prezzi dei prodotti finiti. Infine, il costo della logistica che in Italia è più alto e meno comprimibile rispetto a quanto accade a Parigi e dintorni. In generale, in Francia gli interventi anti-inflazione sono stati oggetto di un confronto più ampio nell’ambito della normativa che regola i rapporti lungo la filiera agro alimentare. Sono queste le principali cose che filtrano dagli sbuffi dei produttori, Barilla compresa.


Ma sul metodo ci sono anche altre questioni. La Maire, in Francia, pur convocando le associazioni di categoria, si è riferito anche direttamente alle singole aziende produttrici, convocando a Bercy 75 società dell’agroalimentare e ottenendo la sottoscrizione dell’accordo da 39 di loro, molte delle quali importanti multinazionali. Anche la linea dei ministri è stata molto più impositiva e ha tentato di distribuire il carico del costo dell’inflazione sull’intera filiera. La viceministra del Commercio Olivia Grégoire ha spiegato in un’intervista: “Se ci saranno imprenditori furbetti che godranno di ribassi nel prezzo della materia prima senza condividere il beneficio con i consumatori, non ci faremo problemi a citarli, denunciando pubblicamente chi si comporta in questa maniera irresponsabile”. Per Barilla i rapporti con il governo francese sono importantissimi. Degli oltre 4,6 miliardi di fatturato della multinazionale circa il 38 per cento è realizzato in Italia, ma fuori dai confini nazionali la Francia rappresenta uno dei mercati principali e, soprattutto, in maggiore crescita. Come si legge nel report allegato all’ultimo bilancio presentato: “La Regione Western Europe, in questo periodo di instabilità e insicurezza a livello internazionale e con la conseguente escalation inflazionistica e aumento dei costi, ha chiuso con un indice di fatturato 114 rispetto al 2021, confermando l’importante trend di crescita degli ultimi anni, con un incremento del fatturato pari al 21 per cento rispetto al 2019. La Francia, il più grande mercato della Regione, ne ha trainato la crescita”.

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