Una veduta aerea di Selva Malvezzi (BO), dopo l'alluvione che ha colpito l'Emilia Romagna a maggio (Ansa) 

Il pnrr che fa acqua

Realizzare in tempi brevi i progetti contro il dissesto idrogeologico sarà un'impresa

Giulio Boccaletti

Il principale problema non sono le risorse ma la capacità di progettazione e ancora di più quella di realizzazione. E le incertezze sul Recovery non sono l’apice delle nostre difficoltà. Ne sono solo l’inizio

Mi occupo di acqua da anni. E’ inevitabile che mi interessi del fatto che gli investimenti del Pnrr sui rischi idrogeologici sono stati “definanziati”. Il governo promette di coprirli in altro modo, svincolandoli dai tempi accelerati europei. Le opposizioni accusano l’esecutivo di ipocrisia, a valle di eventi meteorologici estremi che hanno rivelato ancora una volta le dimensioni di quei rischi. Il dibattito si è infiammato. Sono discussioni un po’ inutili. Per anni, la scusa era che non ci fossero i soldi. Ora sono arrivati oltre 190 miliardi di euro, e si è scoperto che il problema non erano i soldi ma idee e capacità di implementarle. Quando si è cercato di stilare la lista di cosa fare – complice anche la chiusura dell’unità di missione sui rischi idrogeologici – è saltato fuori poco. Adesso si è scoperto che non siamo in grado di attuare quel poco che è saltato fuori. 

 

Invece di accuse reciproche, la discussione politica dovrebbe concentrarsi su come ricostruire la capacità del paese di mettere a terra i progetti. Illudersi che il problema si concluda nel 2027 significa non avere compreso il momento storico. Le condizioni materiali stanno cambiando, così come la struttura produttiva dell’economia. Entrambi richiederanno interventi per decenni, specialmente nella gestione idrica. Dobbiamo essere in grado di farli onde evitare polemiche inutili, vale la pena ricordare che il problema non è solo italiano. Tra il 2021 e il 2022 gli Stati Uniti hanno introdotto l’Infrastructure Investment and Jobs Act, il Chipss Act (Chipss è un acronimo, vagamente traducibile con “la legge per creare incentivi positivi per produrre semiconduttori e scienza”), e il più recente Inflation Reduction Act del 2022, un misto di sovvenzioni, crediti fiscali, e investimenti su 10 anni per oltre 2 mila miliardi di dollari. Pochi si aspettavano che Biden riuscisse a ottenere investimenti di queste dimensioni. E invece ce l’ha fatta, un risultato straordinario che, almeno su carta, rappresenta il più grande intervento di politica industriale della storia americana. Le celebrazioni, però, hanno ben presto lasciato il posto all’ansia: si è rapidamente visto che allocare soldi a una lista di desiderata è ben più facile che spenderli. 

 

Il focus dei programmi statunitensi, inclusi investimenti per oltre 70 miliardi nei sistemi idrici, aiuta a priorizzare e dare legittimità politica. Ma in pratica i temi convergono sempre intorno alla casa di qualcuno, ed è lì che cominciano i guai. Mettere sottoterra fibra ottica o connessioni per l’elettrificazione, gestire le perdite della rete idrica, migliorare il deflusso o lo stato degli argini richiede di scoperchiare la stessa strada o lo stesso cortile. Senza coordinamento, si rischia di farlo tante volte quanti sono i temi, un cantiere permanente. E le amministrazioni locali raramente hanno quella capacità di coordinamento tecnico. 

E poi ci sono gli ostacoli amministrativi. Da decenni, i paesi industrializzati come gli Stati Uniti sono passati da una concezione del territorio come piattaforma di sviluppo a quella del territorio come paesaggio da conservare. Si sono prodotte centinaia di regole e leggi difensive il cui scopo è limitare il cambiamento, imponendo un carico di rendicontazione e controllo che non c’era quando le grandi infrastrutture furono fatte nel Dopoguerra.

Forse il deficit più grosso è nelle competenze. Gestire la complessità esecutiva di un progetto da miliardi non è cosa che si studia sui libri. Per farlo bisogna averlo fatto. Richiede esperienza, che si costruisce con fatica e nel tempo, da una generazione all’altra. Negli anni Cinquanta, la stragrande maggioranza delle persone che avevano diretto grandi progetti miliardari nelle infrastrutture idriche era di nazionalità americana. Oggi, quasi nessun americano attivo nel settore ha avuto tali esperienze e i ritardi accumulano, errori di pianificazione si moltiplicano, il traguardo si allontana.  

La storia italiana è sostanzialmente identica a quella degli Stati Uniti, con la differenza che le nostra vulnerabilità climatica ed economica sono forse maggiori. Le amministrazioni locali e i loro uffici tecnici non hanno il personale necessario per pianificare e coordinare gli interventi. Il carico regolatorio è troppo pesante per permettere di rispondere nei tempi dettati dal cambiamento climatico e dall’economia. E in un paese la cui politica è sovrappopolata di avvocati, commercialisti e professori universitari, non ci sono sufficienti esperienze amministrative di grandi progetti per mettere a terra la trasformazione industriale e paesaggistica di cui avremo indubbiamente bisogno. Le difficoltà del Pnrr non sono l’apice delle nostre difficoltà. Ne sono solo l’inizio. 

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