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Editoriali

Lampedusa, una tragedia senza slogan

Redazione

Ennesimo naufragio al largo dell'isola siciliana, con 41 vittime. Ecco tutto quello che va fatto per salvare vite, sapendo che non è facile né immediato

L’ennesimo tragico naufragio al largo di Lampedusa, del quale non sono ancora del tutto chiare le circostanze, richiede una riflessione critica ma realista sulle politiche in campo migratorio. Naturalmente la responsabilità più pesante è quella dei trafficanti che per lucro fanno partire imbarcazioni insicure, zeppe fino all’inverosimile, esponendo i migranti a rischi gravissimi. Anche le autorità del porto di partenza, in questo caso Sfax in Tunisia, non hanno saputo o voluto impedire la partenza e questo crea interrogativi sull’efficacia degli accordi con la Tunisia, come in passato su altre manovre diplomatiche analoghe. In questo caso non pare ci siano responsabilità invece della Guardia costiera italiana, che si è attivata appena informata della situazione, anche se oramai era tardi.

La commozione per la sorte delle vittime non va strumentalizzata, non serve cercare colpevoli in base all’interesse o alla collocazione politica: bisogna rendersi conto che il problema migratorio non è un’emergenza ma un fenomeno strutturale originato da fattori internazionali che nessuno può controllare e che quindi va affrontato, possibilmente in ambito europeo, in modo razionale. Il soccorso in mare è un dovere, una forza europea coordinata è auspicabile, ma non si può pattugliare permanentemente tutto il braccio di mare, la lotta contro i trafficanti richiede indagini internazionali penetranti che a loro volta richiedono una collaborazione da costruire. Le visioni unilaterali intralciano la ricerca di soluzioni, persino l’approccio di per sé positivo del cosiddetto piano Mattei, se considerato come uno strumento in grado di intervenire sui fenomeni migratori in tempi brevi, finisce col diventare un alibi, visto che i suoi stessi obiettivi di promozione dello sviluppo hanno caratteri temporali di gran lunga più ampi. I problemi complessi non hanno soluzioni semplici, ma almeno dovrebbero essere esaminati in tutti i molteplici aspetti, il che è l’esatto contrario di quel che si fa quando si pretende di rinchiuderli in slogan, umanitari o securitari che siano.

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