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La ricerca

Il "pull factor" delle ong è una balla anche per la scienza

Ruggiero Montenegro

Uno studio dimostra, dati alla mano e con verifica scientifica, che i taxi del mare non esistono. A spingere i migranti ad attraversare il Mediterraneo sono le condizioni meteorologiche in mare, le guerre e le questioni economiche

Non che servisse una studio scientifico per certificare, una volta di più, quello che era già chiaro e visibile alla luce del sole. Ma adesso - per gli irriducibili sostenitori della teoria dei "taxi del mare" - c'è pure quello: il pull factor legato alle Ong non esiste. “L'insieme dei risultati indica che la migrazione attraverso il Mediterraneo centrale tra il 2011 e il 2020 potrebbe essere stata guidata da fattori quali conflitti o condizioni economiche o ambientali, piuttosto che da operazioni di ricerca e salvataggio”. I risultati sono quelli raccolti da una ricerca scientifica pubblicata su Scientific report  - rivista internazionale dello stesso gruppo editoriale di Nature - che ha indagato per dieci anni la rotta migratoria che interessa direttamente l'Italia, smontando così uno dei cardini della propaganda dei partiti di governo (e non solo) quando si parla di migrazioni. E di cui il decreto Cutro, con la stretta alle navi umanitarie, è solo il più recente degli esempi.


In questi anni numerosi esperti della materia si erano espressi in questo senso, spiegando attraverso altri fattori l'aumento del numero di migranti sulle nostre coste. Ciononostante, non solo in Italia ma anche a livello europeo, non sono mancate parole tese a criminalizzare il soccorso in mare. A novembre, per dire, Meloni parlava di “naturale convergenza” fra le ong e “gli interessi degli scafisti”. Ed è proprio partendo da certe affermazioni che i ricercatori si sono messi a lavoro, per confutare attraverso modelli scientifici che "le attività di ricerca e salvataggio condotte dallo stato e dai privati favoriscono la migrazione irregolare (e quindi i decessi dei migranti) alterando il calcolo delle decisioni associate al viaggio”.

 

Lo studio si basa su dati ufficiali, quelli dell'Agenzia europea per la protezione dei confini - Frontex -  e quelli provenienti dalle guardie costiere della Tunisia e dalla Libia, insieme alle rilevazioni di altre agenzie internazionali tra cui l'Organizzazione mondiale per le migrazioni delle Nazioni Unite, e giunge alla conclusione che a determinare un maggior numero di partenze non siano Carola Rackete e gli altri operatori umanitari, quanto una serie di fattori quali le condizioni meteorologiche nel Mediterraneo, i disastri ambientali, le questioni economiche, il costo dei prodotti di prima necessità e quelli delle materie prime oltre che, logicamente, l'intensificarsi dei conflitti e l'instabilità politica dei paesi di partenza.

Per questo gli autori - Alejandra Sánchez, Julian Wucherpfennig, Ramona Rischke e Stefano Iacuz -  sulla base dei loro modelli di studio, scrivono che "non ci sono differenze statisticamente significative" in grado di dimostrare che le attività in mare da parte delle Ong, più frequenti in determinati periodi rispetto ad altri, abbiamo poi spinto un maggior numero di persone ad attraversare il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna. Una considerazione a cui i ricercatori arrivano passando in rassegna - nell'intervallo 2011-2020 - varie fasi caratterizzate da diverse modalità di controllo e soccorso: l'operazione Mare Nostrum, le attività delle Ong e poi gli accordi tra Ue e Guardia costiera libica.

 

 

L'immagine spiega plasticamente come il pull factor sia più una trovata di propaganda, che un fenomeno che abbia effettivo riscontro nella realtà. La ricerca aggiunge tuttavia che in coincidenza del periodo di cooperazione tra Ue e Libia, "a seguito dei respingimenti coordinati e dell'estensione della zona di ricerca e soccorso libica" si assiste a "una riduzione del numero di tentativi di attraversamento". Ma, sottolineano i ricercatori, "ciò è avvenuto a scapito di un significativo deterioramento della situazione dei diritti umani dei migranti in Libia". 

Si tratta insomma di un ulteriore colpo a un certo modo di affrontare la questione migratoria, di cui il governo Meloni  - l'ultimo, ma di certo non l'unico - si è fatto interprete, criminalizzando l'operato delle organizzazioni umanitarie. Le stesse, ironia delle sorte, a cui sempre più spesso l'esecutivo è costretto a rivolgersi: è accaduto nelle scorse ore quando la la Guardia costiera di Lampedusa ha finito il carburante per le sue motovedette, ed era accaduto anche un mese fa con la richiesta di aiuto all'Open Arms. In barba al decreto Cutro.

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