Il pranzo frugale di Meloni che striglia la sua maggioranza sulle riforme

Valerio Valentini

Insalata di riso e prosciutto. E, soprattutto, l'ansia di ritrovare la forza propulsiva smarrita in Parlamento. Il semipresidenzialismo e l'autonomia, il Mes e il salario minimo: su troppi dossier la tattica è quella del "se ne riparla dopo le vacanze". Il vertice coi capigruppo e i vicepremier. Lo spauracchio delle europee e della legge di Bilancio

Pure la frugalità del pasto, forse, era un messaggio subliminale. Insalata di riso, due ricottine, mozzarella e prosciutto cotto. Roba da mensa di oratorio, o da ospedale. Che insomma non bisognasse perdersi in convenevoli, tra gli stucchi dorati di Palazzo Chigi: questo era il senso. Del resto la riunione doveva servire a quello, a ritrovare la spinta propulsiva, o quantomeno a promettersela. “Certo non si fanno riunioni per coordinarsi peggio, ma per provare a coordinarsi meglio”, ammette il forzista Paolo Barelli. Insomma se Giorgia Meloni ha convocato al desco presidenziale i capigruppo di maggioranza insieme ai due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, è perché l’impaludarsi del suo slancio riformista deve percepirlo pure lei. 

L’elenco dei rinvii, del resto, è fin troppo lungo. Le riforme costituzionali e quelle per l’autonomia; la ratifica del Mes e il salario minimo. E questo solo per stare ai dossier più consistenti. Tutto rimandato a dopo le vacanze, nella migliore tradizione romana. “Se ne riparla a settembre”. Nonostante sul semipresidenzialismo Meloni avesse promesso l’avvio dell’iter “entro l’estate”; nonostante Zaia e Calderoli scalpitino; nonostante sul Meccanismo europeo di stabilità, pur di non decidere, si sia richiesta un’operazione di diserzione di massa, ma patriottica s’intende, dai lavori di Montecitorio. Mancare, non marcire.

Di qui, dunque, la richiesta di “un coordinamento più efficace”, magari pure per evitare inciampi clamorosi come quello sul Def nell’Aula Montecitorio a fine aprile, o in commissione al Senato nel giugno scorso. O come quello, fresco di giornata, del parere favorevole della destra all’ordine del giorno di Fratoianni a favore della patrimoniale. Di qui la promessa di “fare un punto sulle riforme” alla ritorno dalle spiagge. 

Quando, peraltro, inizierà a prendere sostanza anche l’inquietudine intorno alla Nadef. E non a caso, nelle sue raccomandazioni agostane, la premier ha lasciato intendere che il lavoro sarà delicati, i margini di spesa risicatissimi: per cui bisognerà “concentrare le poche risorse su poche misure essenziali”, scongiurando dunque, almeno a parole, la corsa al rialzo in vista di una legge di Bilancio che si sperava diversa da quella dello scorso anno, e invece sarà altrettanto tribolata.

Con buona pace di chi, e qui gli occhi di Meloni hanno passato in rassegna tutti i presenti, di questa Finanziaria vorrebbe fare un manifesto elettorale in vista delle europee. “Che saranno un appuntamento decisivo – ha spiegato la capa di FdI – e che però non devono distrarci dalla nostra agenda, ché non possiamo permetterci di fermarci per sei mesi”. Facile a dirsi – specie per una maggioranza, peraltro, che spesso ha trovato nella stasi, nel rinvio, l’unico modo per mostrarsi viva. “Dovrà essere una sfida che giochiamo come centrodestra, quella delle europee: si vince insieme contro i nostri avversari, non facendoci la guerra tra noi”. E tutti, e ci mancherebbe, hanno annuito. Salvini, pare, perfino più convintamente degli altri.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.