Il racconto

In Friuli Venezia Giulia c'è una Woodstock tra i monti: "Concerti e natura: che energia"

Simone Canettieri

Trentasei ore ai laghi di Fusine, al confine con Austria e Slovenia: è il No Borders music festival. Tra Skin, Mika, influencer del cibo e diciotto gradi di temperatura

Arriva la soffiata: sono là. Sguardo complice. “Me ne sparo almeno tre: mi voglio sballare!”. Serve roba forte per godersi questa Woodstock al meglio. Basta seguire gli occhi eccitati della tribù. I pusher sono ben forniti. E le opzioni sono due. Per cominciare c’è il pulled pork – spalla di maiale sfilacciata con coleslaw, la tipica insalata di cavolo e carote, più salsa barbecue a innaffiare il tutto. Un panino vagamente lisergico: c’è chi lo chiama Hofmann, in onore del padre dell’Lsd. Fila silenziosa – e chilometrica – alle casette di legno, tipo pifferaio di Hamelin. Basta il profumo, in effetti. Tutti in attesa della dose di piacere, a base di carboidrati e proteine. Manca poco alle 14. Le casse stanno per pompare, occorre caricarsi: “Dammene cinque”. 

Oppure – ma qui si entra in un’esperienza davvero mistica – c’è il frico: patate, cipolle e formaggio Montasio fuso mischiati e sciolti insieme (digestione prevista entro una settimana, ma questo è vero sesso-droga-rock’n roll in unico piatto). Paura e delirio tra le montagne: ora la festa può iniziare. Non esiste contróra quassù. Tutto è capovolto: 18 gradi alle due di pomeriggio, concerti – e che concerti – incastonati tra vette e laghi turchesi. Telefonate di sfottò ai malcapitati rimasti a Roma: “Come va? Fa caldo, abbi pazienza: è luglio”. Armocromia naturale tutto intorno. Il presepe in questione tende così tanto al bello che a nessuno passa per la mente di buttare per terra finanche uno spillo. Tuttavia Legambiente ha tutti gli anni qualcosa da ridire per una polemica che è come la pizza: mare e monti (basta ricordarsi della cagnara scatenata da mondi ambientalisti un po’ esagitati contro i “Jova Beach Party”). 

Tutto è maledettamente instagrammabile. E non a caso spunterà nel weekend anche Chiara Maci, nostra signora della forchetta, la Chiara Ferragni della gastronomia, ma soprattutto, o forse anche, volto tv consolidato ai fornelli. “Possiamo farci un selfie?”. “Certo”. Così per due giorni.   
Insomma, si chiama “No Borders Music Festival”: ospiti internazionali, pubblico da mezza Europa, enogastronomia (di sera anche stellata). E’ l’edizione numero ventotto. Racconta chi ne sa che, per una particolare conformazione del territorio, ci troviamo tra le località più fredde d’Italia, anche se siamo sotto i mille metri. 
In inverno ma anche – e questo sì che è un superbonus – in estate, specie questa estate. 

Altro che Twiga, Papeete e Santa Marinella: Laghi di Fusine, Tarvisio, Udine, Friuli-Venezia Giulia. Un’ora e mezza da Trieste. Siamo ai confini del “Fedrigastan”, ma comunque sempre nella sua terra, esilio dorato. Tanto che di domenica, nel giorno dello show di quel Peter Pan di Mika, comparirà anche il governatore leghista dal volto simpatico, con moglie e prole al seguito. Non è il pratone di Pontida: è molto meglio. Chissà se lo pensa anche lui, mentre deve badare ai figli che scorrazzano in lungo e in largo. L’altra faccia del Carroccio viene spesso qui per rigenerarsi, o forse per ecologia mentale.

E’ il suo buen rifugio: ha un terreno con una casa proprio a Camporosso in Valcanale, altra cartolina qui accanto. Eppure una settimana più tardi (oggi per chi legge) dovrà lasciare questa arietta fresca per fare rotta su Cervia-Milano Marittima, riviera romagnola, per la consueta festa della Lega, passata alle cronache come quella del Papeete. Quassù comunque niente mojito, sia chiaro. Si bevono, e tante, birre. Ma anche spritz e hugo (drink locale a base di prosecco, sciroppo di fiori di sambuco, seltz e foglie di menta).
     
Per raggiungere la bellezza occorre faticare, e questo si sa. Dunque se ti vuoi godere un’esperienza che poi racconterai alla mamma e agli amici immersi nella calura, devi salire a piedi o in bici dal paese, Tarvisio, su su fino ai laghi. Google Maps informa: l’Austria dista cinque chilometri, la Slovenia sei. Chiamate di corsa il ministro della Sanità tedesco Karl Lauterbach, ditegli di non ascoltare i first gentleman alla tv, ma di fermarsi in questa Open to meraviglia. E’ meta-turismo: si mangia, si beve, si balla, si canta. E viceversa, con l’ordine che più si preferisce. E la foresta, pietrificata e millenaria come da didascalia delle brochure, ti guarda. Che magia questa montagna. In un attimo si è in zona Thomas Mann (classicone da citare a cena in un impeto di banalità) e si capisce meglio (forse) la scelta di vita di Paolo Cognetti, interpretata al cinema poi dalla coppia Borghi Marinelli. “E’ straordinario. Questa è la mia prima volta”, dirà come noi novelli anche lei, Dalia Gaber, figlia di Giorgio e Ombretta Colli: metà donna e metà ufficio stampa. Una relazione pubblica che cammina. La sua agenzia, Goigest, gestisce una tale parure di artisti che potrebbe organizzare in autonomia tre Sanremo e due Eurovision. E’ anche lei qui. La sua Milano, che non è più quella di Cerutti Gino, per due giorni può aspettare.

Ecco, insomma per raccontare questo evento, nell’Italia dei festival estivi come ottima proposta di mini vacanza, bisogna mettere in fila gli ospiti del “No Boarders”: oggi alle due sull’altopiano del Montasio sarà la volta di Stefano Bollani e Trilok Gurtu. Domani, domenica, al rifugio Gilberti quella di Benjamin Clementine.  Una settima fa Euterpe, dea della musica, è riuscita a mettere insieme in ventiquattro ore la voce magnetica di Skin (con figlia Lev Lylah e compagna al seguito) e poi Mika, folletto spiritato in grado di scendere dal palco e dire a settemila persone: “Adesso facciamo un patto: voi vi mettete tutti seduti, io canto in mezzo a voi che sarete il mio coro”. Una roba da stropicciarsi gli occhi. D’altronde è il festival senza confini. Questo mese sono passati dai laghi di Fusine Jack Johnson, Ben Harper, Baustelle, Mannarino. Per dire. In quasi trent’anni un bel pezzo di musica si è ossigenata qui: da Manu Chao a Jovanotti, passando per Pino Daniele, Franco Battiato, Zucchero, Gianna Nannini, Björk, Paolo Conte, R.e.m., Sinéad O’Connor, Lenny Kravitz, Madonna, Ac/Dc, Vinicio Capossela, Bruce Springsteen, Foo Fighters. Sempre per dire.

Tarvisio, il paese del grande evento, ha quattromila anime. E un’economia che si regge sulla montagna tutto l’anno. Con un liceo dello sport che indica subito lo stile di vita degli abitanti. “Una sciata, una ciaspolata, una passeggiata, un po’ di trekking e passa la giornata”, spiega con una semplicità disarmante (forse vuole impressionarci in quanto romani da barbarizzare) Simone, trentenne pieno di storie di “morose” da raccontare. Ha il compito di guidare il van dei musicisti dall’aeroporto di Trieste Ronchi dei legionari al festival.  Anche due volte al giorno. “Noi qui dormiamo con le chiavi dietro alla porta”, dirà ancora come ennesimo gesto di sfida nei confronti di chi viene da Roma, la cui percezione della sicurezza è compromessa. 

Il padre di Simone fa il cuoco nel backstage dell’evento. Entrambi sono parte di questo microsistema economico creato dal consorzio di promozione turistica del Tarvisano, diretto da Claudio Tognoni. E’ lui il manager che si è inventato per sfida tutto questo ventotto anni fa. “La passione per la musica, la voglia di non avere confini di alcun tipo, il rispetto e l’amore per questi posti unici: tutto nacque così, un po’ per gioco e un po’ per pazzia”, dice Tognoni, visibilmente soddisfatto. I cantanti che suonano qui, poi ritornano: è sicuro. E lo raccontano. E intanto si fa marketing territoriale di un piccolo paradiso che altrimenti rimarrebbe in uno stupendo anonimato del vattelappesca. 


Nel sabato di Skin (regina del rock senza età: ha 57 anni, ma potrebbe averne 37, o 27 o forse 47) sono state avvistate creste blu e pubblico molto rock. Siamo in zona diva. Canta, regala i testi dei pezzi ai fan, beve un bicchiere di vino rosso, poi un altro di bianco. Prende in braccio di tanto in tanto la figlia. 
La domenica di Mika, ultima tappa del suo tour, è il trionfo della generazione Z. In mezzo c’è stata la cena, perché sempre in Italia alla fine siamo e dunque tocca mangiare – e bene. Una volta scesi in paese l’edizione del festival di quest’anno per palati e tasche più raffinate ha messo in piedi anche la versione estiva di “Ein Prosit”: cucina di alto profilo con prodotti tradizionali della zona reinterpretati dalle mani di chef stellati provenienti dai migliori ristoranti del paese. Per gli esperti e gli amanti del genere si sono messi ai fornelli Jacopo Ticchi, Federico Sisti, Alessandro Negrini, Chiara Pavan, Francesco Brutto, Salvatore Sodano, Karime Lopez e Takahiko Kondo, Alessandro Dal Degan, Riccardo Gaspari, Michele Lazzarini, Alberto Toè, Arianna Consiglio. Insomma la repubblica degli chef. 
 Ora è tutto chiaro: foto per Instagram da paura, più cucina che te la ricordi, ecco perché c’è anche Chiara Maci, account sui social: “Chiarainpentola”. “La Maci”, bolognese, già compagna di uno altro chef della Milano dei boschi verticali come Filippo La Mantia, è l’altra star: una macchina da guerra fra post, libri, tour enograstronomici in giro per il paese. “Quando vado a cena per lavoro mi presento da sola e ordino mezzo menu”, dice con naturalezza nonostante una linea da fare invidia. Cibo, foto e poi via nella mischia della Woodstock tarvisiana con short e maglietta dell’evento. 


Tutto si tiene e si chiude, senza furori luciferini ultraecologisti, ma con una discreta quota di buonsenso a partire da chi ha messo in piedi tutto questo ambaradan. Energia pura. Come quella che trasmette Mika che dopo lo show racconta: “La natura ti provoca un contatto con la gente incredibile: un mix tra l’immensità di queste montagne e un’intimità pazzesca. Si forma una sorta di trasparenza umana, un nudismo, ma rimanendo vestiti. Oggi sono molto felice: è giusto così, mi sento fortunato”. Il suo concerto entrerà nell’almanacco di questo festival per intensità, spettacolo e performance. La sera prima a cena, dopo aver chiesto il bis di anguilla con more fermentate e salsa barbecue, salutava la compagnia prima di tutti dicendo con senso del dovere: “Devo andare a dormire prima di mezzanotte, ho un concerto domani”. E di non fare le ore piccole ne è valsa la pena. Per lui e per chi era lì ad ascoltarlo.
Trentasei ore vissute così e l’afa della città fa meno paura. La festa riparte oggi con le ultime due date di questa edizione. Chi non sarà lassù dovrà accontentarsi di Instagram.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.