Il caso

Nordio profeta in patria azzurra: isolato da Fratelli d'Italia, diventa idolo di FI

Simone Canettieri

Il partito di Meloni, che lo ha candidato, prende le distanze da lui: non è tra gli invitati delle celebrazioni contro la mafia a Palermo. Intanto Tajani lo incoraggia: "Avanti così". E Mulè scherza: "Prenditi la nostra tessera"

Circondato, coccolato, incoraggiato ed evocato. Nel bel mezzo del Transatlantico spunta Carlo Nordio: il ministro della Giustizia impatta subito con un capannello di Forza Italia, capitanato dal neo segretario Antonio Tajani: “Ho parlato con un giudice, che mi ha detto che dobbiamo andare avanti con la riforma della giustizia”. Nordio: “Eh, sì. Avanti”. Tajani: “Sulle separazioni delle carriere non si molla”. Il Nordio azzurro dice di sì. Arriva anche Giorgio Mulè che, con situazionismo giornalistico,   tira fuori dal portafoglio la  tessera di Forza Italia 2023 (numero 14): “Carlo, ce n’è una anche per te”. Si ride. E il ministro risponde: “Simul stabunt, simul cadent”.  

La citazione si riferisce all’intervista di Mulè a Repubblica: una difesa totale del Guardasigilli sull’abolizione dell’abuso d’ufficio, ma anche sul reato di concorso in associazione esterna mafiosa da rivedere. Con tanto di incipit che avvisa il governo e tradotto suona così: se cade, o viene sconfessato, il ministro della Giustizia, crolla tutto. Le cose stanno insieme.

Il vicepresidente della Camera di Forza Italia si riferisce alle due fattispecie che da giorni fanno agitare Fratelli d’Italia, il partito che ha candidato il magistrato veneto alle politiche strappandolo dalle iniziali simpatie salviniane e che ora sembra prenderne le distanze limitandone il raggio d’azione. 


L’abuso d’ufficio è un problema reale se è vero che dal 15 giugno, da quando è stato licenziato dal Consiglio dei ministri il Ddl giustizia, il Quirinale non ha ancora autorizzato le Camere alla discussione. Trattative in corso, fra il Colle e Palazzo Chigi. Con Nordio in mezzo, difeso dal vice forzista Francesco Sisto, ma pronto a ribadire, a chi gli glielo chiede in queste ore che “sull’abuso d’ufficio non faccio passi indietro: va abolito”.

Nonostante i possibili richiami dell’Unione europea, ben rappresentati giovedì da Sergio Mattarella a Giorgia Meloni durante l’incontro che si è svolto nello studio alla Vetrata. Discorso diverso per il concorso esterno, “che non è una priorità e non fa parte del programma” come ha ribadito la premier in persona domenica a Pompei, rafforzando la linea espressa dal sottosegretario Alfredo Mantovano.

Nel dibattito, più accademico che fattuale, Nordio ha la sua opinione su questo. Opinione che collima con quella di Tajani. Tutto si tiene. Soprattutto nel giorno in cui anche Marina Berlusconi, sulle colonne de Il Giornale, rompe il silenzio per denunciare “la persecuzione di papà anche da morto e gli assurdi teoremi di certi pm intoccabili”. A partire dalla tesi “assurda, illogica e infamante secondo cui mio padre sarebbe il mandante delle stragi del 1993-94”.

Un’uscita, quella della primogenita del Cav., insolita e rumorosa. Che all’inizio trova solo il coro di assenso di Forza Italia, com’è normale che sia. Salvo poi, con il passare delle ore, avere una sponda in Fratelli d’Italia con il capogruppo Tommaso Foti: “Quando una persona non c’è più il caso è chiuso: è un’idea fuori dal mondo”. In generale il ministro della Giustizia rimane sospeso, tra l’abbraccio di Forza Italia e una buona dose di gelo del partito che lo scelse prima in Parlamento, poi al governo. Per i vertici di Via della Scrofa, quartier generale meloniano, il ministro resta o si conferma un oggetto non meglio identificato. Lo chiamano “il conferenziere” per la sua natura di divulgatore. A volte di tesi fuori linea, altre non concordate o fuori dagli appunti di Giorgia (a proposito: che fine hanno fatto?). Sarà pure per questo dettaglio non banale che al grande evento di venerdì a Palermo “Parlate di mafia”, organizzato da FdI, il ministro della Giustizia di FdI (sulla carta) non ci sarà. Parleranno al contrario i capigruppo, il coordinatore Giovanni Donzelli, il vice Andrea Delmastro, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il sottosegretario Mantovano (il primo panel: “Dalla trattativa stato-mafia all’arresto di Messina Denaro). Con tanto di videomessaggio di Meloni, che invece parteciperà a Palermo alla fiaccolata per l’anniversario della strage di via D’Amelio. Motivo forse per il quale la premier in Cdm annuncia in tutta fretta un decreto per fare chiarezza sui reati di criminalità organizzata ed  evitare che gravi reati vadano impuniti per effetto dell’interpretazione di recente avanzata dalla Corte di Cassazione. Una sfaccettatura del concorso esterno, più vicina alla linea di Mantovano che a quella del Guardasigilli: più che nemo, è Nordio profeta in patria.
  

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.