Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis circondato da parlamentari (Ansa)

Meno Orbán, più Mitsotakis. L'alternativa alla destra chiacchiere e diversivo esiste e funziona

Claudio Cerasa

L’affermazione in Grecia di Nuova Democrazia svela l’esistenza di un modello clamorosamente di successo che si trova però agli antipodi rispetto alla dottrina populista e complottista, alimentata in questi anni dai nostri conservatori

Finiremo come la Grecia? Magari. Nel grande tramestio delle destre europee – destre tutte in cerca di un nuovo profilo, di una nuova storia, di una nuova identità e di un nuovo tratto di presentabilità – c’è un nome che i così detti conservatori italiani hanno scelto di rimuovere dal proprio vocabolario. Quel nome è effettivamente difficile da pronunciare. Ma la ragione per cui la destra italiana ha scelto di ignorare quel politico ha a che fare con un tema più delicato della difficile pronuncia. Dire oggi Kyriakos Mitsotakis (nel caso in cui dovesse servire si dice così: “Ciriacos Mizotacis”, più o meno come De Mita) è faticoso perché parlare dei trionfi della destra greca (che a giugno ha conquistato 158 seggi su 300 in Parlamento) significherebbe ammettere l’esistenza di un modello clamorosamente di successo che si trova però agli antipodi rispetto alla dottrina populista alimentata in questi anni dai nostri conservatori.

 

Per molto tempo, la destra italiana ha indicato ai propri elettori la strada inevitabile della lotta contro la globalizzazione, contro l’austerità e contro i mercati per migliorare la prosperità dei cittadini. E per questa ragione ha scelto di individuare come suo profeta in terra il presidente dell’Ungheria Viktor Orbán, che bene ha interpretato nel suo paese le istanze di una destra decisa a cavalcare le politiche della chiusura. L’affermazione in Grecia di Mitsotakis offre però alla destra europea un’alternativa netta al modello Orbán e quell’alternativa meriterebbe di essere osservata con attenzione per due ragioni.

 

La prima ragione riguarda ciò che negli ultimi quattro anni, dal punto di vista economico, ha combinato Mitsotakis al governo. E se si ha la pazienza di incrociare i numeri contenuti nei piani nazionali di riforma presentati a fine aprile dal governo italiano e da quello greco alla Commissione europea si scoprirà qualcosa di interessante. Primo punto: tra quattro anni il debito pubblico della Grecia sarà migliore di quello italiano e sarà pari al 135,2 per cento del pil contro il 140,4 per cento dell’Italia (nel 2020, l’indebitamento del pil greco era del 206,3 per cento).

 

Secondo dato: il tasso di crescita della Grecia è il doppio di quello italiano. Le previsioni di aprile dicono che il pil della Grecia salirà del 2,3 per cento nel 2023, del 3 per cento nel 2024, dell’1,3 per cento nel 2025, dell’1,1 per cento nel 2026, mentre ad aprile le stime del governo italiano segnavano un più 0,9 per cento nel 2023 (ma secondo l’Istat sarà almeno dell’1,2 per cento), un più 1,4 per cento nel 2024, un più 1,3 per cento nel 2025, un più 1,1 per cento nel 2026. Stessa storia sull’avanzo primario. Nell’anno in corso, la Grecia stima di avere un numero di entrate superiori alle uscite (avanzo primario previsto nel 2023 pari all’1,1 per cento), mentre l’Italia stima di avere per il 2023 un disavanzo (spese che superano le entrate) pari a meno 0,8 per cento.

 

La seconda ragione per cui il modello Mitsotakis meriterebbe di essere seguito con attenzione, dalla nostra destra, è quella suggerita qualche giorno fa dal Wall Street Journal ed è una differenza che riguarda la presenza in campo di un metodo diametralmente opposto rispetto a quello Orbán. Mitsotakis ha prima risanato la Grecia e poi ha vinto le elezioni promettendo un taglio di sette punti all’aliquota dell’imposta sulle società (al 22 per cento), annunciando una riforma delle pensioni costruita per non sfasciare i conti e indicando una chiave precisa per migliorare il benessere dei propri cittadini: scommettere non sul populismo anti mercatista ma sui benefici veicolati da un giusto mix composto da cura del rigore e amore per la globalizzazione. Per la destra italiana, il modello della destra greca è imbarazzante perché mostra un’alternativa di successo al modello della destra populista e perché indica il tratto di strada da percorrere per passare con decisione dalla stagione del complottismo a quella del pragmatismo. Meno chiacchiere, più Mitsotakis. Finiremo come la Grecia? Magari.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.