Pnrr, Mes e Coesione. Così si allunga la catena dei ritardi di Fitto e Meloni

Valerio Valentini

FdI fa ostruzionismo alla Cmaera sul Fondo salva stati. Obiettivo: scavallare l'estate. E intanto Fitto, che vorrebbe utilizzare i Fondi di coesione per modificare il Recovery, congela le risorse alle regioni. La nuova lettera del ministro ai governatori, che non la prendono bene. L'incognita sull'alta velocità in Sicilia e il rischio di un cortocircuito nel centrodestra con Schifani

Lui dice che vuole “lavorare spedito, non di fretta”. E che insomma se anche i ritardi ci sono – “e se ci sono bisogna interrogarsi sulle responsabilità di chi li ha prodotti”: cioè Mario Draghi – sono frutto della “necessità di fare ordine”. E sarà pure così come dice – come ha detto anche ieri al Senato – Raffaele Fitto. Solo che il quadro è questo. Siccome la revisione del Pnrr, che va per le lunghe,  coinvolge anche il ripensamento dei Fondi di coesione, i dossier restano impantanati entrambi. E siccome Palazzo Chigi è convinta di negoziare la flessibilità sui Fondi di coesione con la ratifica del Mes, ecco che s’impone di bloccare tutto anche qui. Insomma la fretta sarà anche una cattiva consigliera: ma l’agenda europea di Giorgia Meloni si risolve in una catena di rinvii.

L’ultimo atto di questa opera buffa avverrà stamane a Montecitorio. La commissione Esteri, convocata per adottare il testo base (quello promosso dal Pd) per la ratifica del Mes, deciderà invece di rinviare il voto alla prossima settimana. Tattica dal fiato corto, forse: ma il centrodestra ha i numeri per proseguire in questo esercizio di ostruzionismo, e la sponda offerta dal M5s offre ulteriori garanzie. Il tutto, con l’obiettivo di guadagnare qualche giorno, di lì una settimana, quindi un mese o forse più. Perché l’arrivo in Aula della proposta di legge è fissato, al momento, a venerdì 30 giugno. Basterà inventarsi una qualche complicazione, e il ministro Luca Ciriani ha già ricevuto il mandato a trovarla, per rinviare tutto alla definizione del nuovo calendario estivo. Una strategia dilatoria talmente spudorata che perfino Giulio Tremonti, il presidente meloniano della commissione Esteri, nasconde ormai a stento l’imbarazzo coi colleghi di altri partiti.

D’altronde che l’arte della politica di Fitto trovi ispirazione nel motto di Rousseau per cui “bisogna perdere tempo, per guadagnarne”, lo si capisce anche dalla fermezza con cui il ministro continua a tenere congelati i Fondi europei di sviluppo e coesione. Si tratta di 48 miliardi di euro da assegnare alle regioni: uno schema di ripartizione che era stato elaborato nel luglio 2022 dal governo Draghi, e che resta tuttora disatteso. Per Fitto è una questione di rigore: se appena un terzo dei 126 miliardi della programmazione europea del 2014-2021 è stato speso, significa che prima di tutto bisogna cambiare metodo. Per questo negli scorsi giorni, dopo un rapido ciclo di incontri coi presidenti di regione, ha spedito ai loro gabinetti una lettera in cui annuncia un’ulteriore sessione di confronti. Che partirà, però, solo dopo che i governatori avranno ottemperato a ben 11 obblighi elencati nel documento inviato. Certificazioni vecchie e nuove, indicazione previsionale dei progetti non completati, “quantificazione delle eventuali economie riprogrammabili”, aggiornamenti delle banche dati, “individuazione dei progetti d’interesse regionale finanziati dagli strumenti di programmazione nazionale”, e via proseguendo in un profluvio di codicilli, acronimi e riferimenti normativi assai oscuri. Con la certezza, però, che per ciascun piano regionale di spesa da finanziare coi Fondi di coesione servirà una specifica delibera del Cipess, il Dipartimento per la programmazione economica, e il conseguente vaglio della Corte dei conti. Ci vorranno mesi. E le regioni quel tempo non ce l’hanno. Quelle del sud, a cui va destinato l’80 per cento delle risorse comunitarie, denunciano la necessità di attingere a quella cassa. Ma un po’ tutte, anche quelle governate dal centrodestra, lamentano l’esigenza di avere certezze contabili, così da avviare la stesura dei bilanci. “Entro l’inizio di luglio avremmo bisogno di quei dati”, spiegava qualche settimana fa il piemontese Alberto Cirio. E difficilmente la sua sollecitazione verrà raccolta da Fitto.

Il quale, d’altronde, nei colloqui coi presidenti di regione è stato ultimativo: “La ripartizione dei Fondi di coesione è un’opportunità, non un obbligo di legge”. Il che è vero. Ma vale più che altro – a meno di contraddire una prassi ormai trentennale – come estrema, velata, minaccia. Perché il punto è che finché non verrà varata la revisione del Pnrr – e Fitto lascia intendere di volersi prendere tutto il tempo disponibile, cioè fino al 31 agosto, a dispetto delle raccomandazioni di Bruxelles – non ci potrà essere alcuna certezza neppure sui Fondi di coesione, se è vero che nei programmi del governo c’è di trasferire alcuni progetti dal Recovery, che scade a giugno 2026, alla Programmazione europea che copre tutto il 2029. Con una complicazione, però, che ha già allertato più di un governatore. Perché se alcune delle opere inserite nel Pnrr dovranno essere rifinanziate coi Fondi di coesione, inevitabilmente le regioni si vedranno ridurre il loro budget di spesa a valere sulle risorse europee. E’ il caso, ad esempio, dell’alta velocità tra Palermo e Catania, per cui ballano 1,4 miliardi. Due lotti sono già stati assegnati, poi i lavori si sono impantanati. Nei piani di Fitto c’è di ottenere una riformulazione dell’obiettivo previsto nel Pnrr: non più “l’alta velocità”, ma il semplice “potenziamento della linea”. Se però la Commissione europea non dovesse gradire, allora si tratterebbe di traslocare l’opera sui Fondi di coesione. Ma siamo sicuri che il presidente siciliano Renato Schifani sarebbe d’accordo?
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.