Il caso

Meloni e Gianni Letta provano a congelare FI, ma c'è l'Opa di Salvini. Il nodo dei debiti e del simbolo

Simone Canettieri

Il dikat della premier: "Non prendiamo parlamentari azzurri".  L'attivismo dello storico consigliere del Cav. Ora la famiglia ha le chiavi del partito e deve rispondere di un ammanco di 100 milioni di euro. Veleni nella corte di Arcore

“Calma e gesso”. Di prima mattina ci sono tre telefoni che si attivano vorticosamente appena la notizia è di dominio pubblico. Due di questi si trovano a Roma, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Sono quelli di Giorgia Meloni e Gianni Letta. La premier in ascesa e il riservista azzurro parlano e si confrontano. C’è da gestire questo fatto “prevedibile, ma non atteso”. Non così. Non alle prime ore  di un lunedì di fine primavera. Silvio Berlusconi è morto, e anche la politica sembra non stare tanto bene. Gianni Letta arriva a  Largo del Nazareno intorno alle 10. Entra a Palazzo del Bufalo, sede romana di Fininvest e poi di Mediaset. Telefona ad Antonio Tajani, che si trova negli Usa, poi al capogruppo Paolo Barelli, riceve Maurizio Gasparri. Poi sente Meloni. Più volte. Entrambi chiameranno  Marina, la prima figlia ad arrivare al capezzale del padre. 

 

“Marina sta dicendo che Forza Italia deve andare avanti”, raccontano al Foglio fonti di primo piano del partito. Per la famiglia del Cav. ci sono due incombenze non banali che le piombano addosso e che vanno gestite. La prima riguarda la proprietà del simbolo e dunque il potere e la facoltà di presentarlo alle elezioni. La seconda i debiti di FI stimati intorno a 100 milioni di euro, garantiti, come sempre, con una fideiussione firmata Silvio Berlusconi. Gianni Letta, intanto, è stato raggiunto nel suo ufficio anche dalla moglie Maddalena. Passerà tutta la mattina ad ascoltare  i vari big, ministri e sottosegretari, più colonnelli vari, spiazzati quanto impauriti dal futuro. C’è, appunto, il  partito personale per antonomasia che sembra sbandare. Forti rumori di sottofondo (Gianfranco Miccichè, l’uomo del 61 a 0 in Sicilia, dice “che oggi è morta anche Forza Italia”).  

 

Giorgia Meloni, che hanno visto entrare a Palazzo Chigi visibilmente provata e commossa, intanto conferma a chi la chiama: “Non si muove niente, nessun parlamentare azzurro entrerà in Fratelli d’Italia”. Fa parte del patto siglato con Marina e Letta senior già ai tempi del primo ricovero al San Raffaele, quello più lungo del Cav. “Fino alle Europee le porte sono chiuse, poi si vedrà. Ma per ora niente partito unico”, spiegano i deputati di Fratelli d’Italia più vicini a  Meloni. Il partito azzurro serve come cuscinetto tra  Lega e FdI e deve essere vivo per l’anno prossimo, anche perché fondamentale nell’ottica di un’alleanza con il Ppe. Un pesce pilota, un satellite del melonismo. L’assillo della premier, nelle ore della fatal notizia, non riguarda tanto la leadership nel governo. Né la transumanza di parlamentari azzurri verso il Terzo polo.

Matteo Renzi ha subito messo in moto, ragionano dalle parti della premier, “un’opa culturale” che però in questo momento rischia di non aver molte possibilità, visto che il centrodestra meloniano sembra comunque più attrattivo.  “Gianni Letta è attivissimo: è una certezza. E’ il vero punto di riferimento con la famiglia”, racconta un ministro a questo giornale. L’eminenza azzurrina dispensa consigli dentro e soprattutto fuori FI. Era ritornato a gennaio sulla scena quando c’erano  da decidere le nomine delle grandi società di stato, e da quel momento non se n’è più andato. Bastava notare il traffico di auto blu dalle parti del suo ufficio, a due passi dalla sede del Pd. “Chi se n’è andato da Forza Italia non ha mai avuto vita lunga né felice, politicamente parlando”, dice Gasparri  durante un pranzo veloce alla buvette. Ma è chiaro che non tutto è così lineare, specie in questo momento. Dunque nonostante Meloni dica “andremo avanti senza litigi nella maggioranza perché lo dobbiamo a Silvio”, allo stesso tempo sa che governare i gruppi parlamentari di FI (45 deputati e 18 senatori) sarà comunque complicato. Prima alla fine,   decideva Arcore: e ora che succederà? Matteo Salvini dice che “nulla sarà come prima”. E che “Silvio lascia anche un’eredità”.

  

Il capo del Carroccio  diventa protagonista di un duello a distanza con Meloni. Si vede in controluce, perché oggi non è il momento delle solite baruffe. E però da Via Bellerio confermano a questo giornale che “almeno dieci senatori sono pronti a passare con noi nei prossimi sei mesi”. E così bisogna guardare dentro Forza Italia a Palazzo Madama e seguire la capogruppo Licia Ronzulli. Lei, e non è la sola, non ha mai riconosciuto la leadership interna di Antonio Tajani e ancora di più il cerchietto magico “i tre dell’ave Silvio” (Ferrante, Sorte e Benigni), amici personali di Marta Fascina. Riuscirà Letta a evitare una quasi inevitabile, forse piccola, diaspora  verso la Lega? I telefoni di Giorgia, Gianni e Marina continuano a vibrare. Si attende l’arrivo di Tajani. Oggi si capirà chi avrà accesso ad Arcore. Domani in Duomo, a Milano, ci sarà il cerimoniale a fornire una geografia politica del centrodestra. E soprattutto di Forza Italia che ha perso un leader immanente e infungibile.                

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.