Il caso

Autonomia e flat tax, la Lega contro Meloni: "Il sistema sta con lei per ostacolarci"

Simone Canettieri

Nel Carroccio gli uomini di Salvini dicono che "l'establishment è alleato con la leader per frenarci". Le accuse di Rixi e Romeo. L'asse di FdI con Forza Italia

Si può spiegare con un gioco di parole. Fratelli d’Italia difende l’autonomia del centro studi del Senato, che ha stroncato l’Autonomia differenziata, per dire alla Lega che il ddl va cambiato. Non a caso Tommaso Foti, capogruppo meloniano a Montecitorio, si incarica di dire un’ovvietà che è anche un avviso agli alleati: “I dossier degli uffici del Parlamento informano, poi le leggi le fanno le Camere”. Tutto chiaro, no? Ora, i leghisti che la sanno lunga hanno subito subdorato puzza di bruciato. Basta seguire al ristorante del Senato il sorridente Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio.

 
“Allora, certe frenate tattiche da parte di Fratelli d’Italia le ho già viste”. Quando? “Ai tempi del governo gialloverde, per esempio. O quando c’erano Berlusconi e Bossi al governo”. L’Autonomia quando i grillini governavano con voi, ministra per il sud Barbara Lezzi, finì su un binario morto con dinamiche molto simili a quelle a cui stiamo assistendo. Timori? “Ma no, vedrete. Approveremo l’Autonomia e anche le riforme”. Insieme? “Perché no?”. Come si sa la vicenda è annosa: c’è il fronte dei governatori leghisti capitanato da Luca Zaia che vuole passare all’incasso dopo anni di sabbie mobili. Anche ieri è tornato a minacciare, dalle colonne della Stampa, l’uscita dalla maggioranza se l’Autonomia non riuscisse a vedere la luce. Matteo Salvini, stretto tra le frenate di Meloni e il pressing del Doge, continua a dire che il ddl del ministro Roberto Calderoli “deve essere approvato prima delle Europee”. Ecco, da Fratelli d’Italia nessuno si sbilancia.

E si divertono a giocare con il nome del partito di cui fanno parte. “Siamo i fratelli d’Italia dunque nessuno resterà indietro, a partire dal sud. Ecco perché ho convocato cinquanta soggetti alle audizioni”, dice, anche lui sorridendo come chi la sa lunga, Alberto Balboni, senatore e presidente della commissione Affari costituzionali. Non sfugge a nessuno, alla fine, come questa vicenda si innesti nei rapporti non proprio idilliaci tra Lega e Fratelli d’Italia.

La storia delle nomine, d’altronde, ha raccontato uno spaccato molto più ampio, ma anche assai semplice: la premier decide, e con lei il sottosegretario Alfredo Mantovano, e gli altri, a partire da Matteo Salvini, se ne fanno una ragione. E inizia a essere così in tutti i gangli dello stato, nelle società come alla Rai, tra gli apparati come sulla riforme. Capotavola è dove siede Meloni. “Non siamo ancora ai livelli del governo gialloverde, perché poi i leader in questo caso si parlano e governano insieme tantissimi enti”, dice Edoardo Rixi, viceministro ai Trasporti e alter ego del leader del Carroccio. Il quale però fornisce una chiave di interpretazione abbastanza inedita. O meglio molto masticata nei ristoranti del potere. Rixi dice che Fratelli d’Italia, e dunque Giorgia Meloni, “in questo momento sono molto connessi all’establishment romano che si è avvicinato al nuovo potere”. E dunque? “Sono leve che fanno resistenza contro la Lega, anche sul presidenzialismo”. Una teoria che sposa anche Romeo, colonnello salviniano a Palazzo Madama. Quando parla di “mondi che frenano”. Ma insomma per la regola del buon viso a cattivo gioco, nessuno dalle parti del Carroccio digrigna i denti. “Sono un inguaribile ottimista, altrimenti non starei al ministero delle Infrastrutture”, scherza Rixi. Che si concede anche una battuta su Bankitalia nel giorno che ha bocciato la flat tax: “Ma non è un centro studi anche quello?”. Però è l’Autonomia differenziata che bisogna seguire perché si porta dietro dinamiche di maggioranza molto più ampie. Sul ddl i primi a mostrare dubbi e perplessità sono stati i governatori forti del sud di Forza Italia. E cioè Renato Schifani in Sicilia e Roberto Occhiuto in Calabria. Sono critici silenti, in questi giorni, ma sempre pronti ad andare all’attacco se stimolati con dichiarazioni a difesa dei loro territori “contro le diseguaglianze di un ddl che non convince”. I loro dubbi, una bozza che rischia di essere molto rivista, danno forza al partito di Meloni. E’ un gioco di sponda che certifica una sintonia, tra il partito del Cav. e quello della premier, che ormai è nelle cose. Anche perché quando si parla di regionalismo c’è sempre la linea di Antonio Tajani, vicepremier azzurro e da sempre attento alla questione romana, nel senso dei poteri speciali da dare alla capitale. A forza di cercare le manine si dà la caccia ai fantasmi. Questo è sicuro. Non a caso il governatore della Lombardia, il leghista in purezza Attilio Fontana sulla vicenda del dossier del centro studi del Senato attacca così: “Il concetto è sempre lo stesso: cercare di centralizzare i poteri, cercare di fare in modo che non si arrivi al rinnovamento dello stato. Sono tante le persone e gli interessi che in questo paese vanno in quella direzione, sicuramente una parte della politica e una parte della burocrazia”.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.