Il leader di Azione, tradito da un fondo di moralismo valdese, fatica a essere assorbito come personaggio. E’ un suo problema, ma anche un problema della politica
Che gli vuoi dire a Calenda, Carlo Calenda? Ignora, strano, il peccato originale. Non esiste l’eden delle idee pure. Non esiste il comportamento virtuoso astratto. I valori sono varianti, anche i suoi, che lui lo percepisca, che lo capisca o no. Cattiveria e disdegno, irriverenza e furbizia, ipocrisia e mendacio, cinismo e rapidità di esecuzione, scippo e furto con destrezza, segreti e chiasso, tutti i difetti del mondo morale sono parte integrante della politica dei partiti. Calenda è il ritratto della persona a modo, irascibile spesso per buone ragioni, incline al ragionamento, alla pedagogia politica, al gin tonic con la società civile, ma sceglie i tempi e i modi dell’agire in quel modo razionalmente sconclusionato, cinguettante, che gl’infoltisce la schiera dei nemici, esterni e interni, e lo porta regolarmente a sbattere.
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