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il terzo polo

Se Calenda vuole rompere con Renzi ora deve iscriversi al Misto con Bonelli e Fratoianni

Salvatore Merlo

Con il passaggio di Borghi dal Pd, Italia Viva al Senato ha i numeri per tenere in piedi il gruppo parlamentare. Se il leader di Azione volesse rompere, finirebbe invece accanto a quelli per i quali ruppe l'accordo elettorale siglato con Enrico Letta. Il colmo della perfidia

E’ il colmo della perfidia. Mettiamo che davvero Carlo Calenda domani decida di rompere con Matteo Renzi e di denunciarne le oscure manovre o il tradimento. Ecco. La vicenda non finirebbe con un’esplosione del gruppo parlamentare che adesso li vede insieme. Né col trionfo di Calenda. Ma finirebbe con Calenda che al Senato si dovrebbe iscrivere al Gruppo misto, con i Verdi e Sinistra italiana, mentre Renzi si tiene il gruppo parlamentare. Insomma il gran randellatore di Bonelli e Fratoianni, Calenda, finirebbe con il partito di Bonelli e Fratoianni. Si dovrebbe sedere accanto a quelli per i quali nove mesi fa ruppe un accordo elettorale eccellente già siglato con il Pd di Enrico Letta. Come dimenticarlo? “Con le frattaglie di sinistra io non ci sto”. Ultime parole famose. Il fatto è che da ieri pomeriggio, Renzi, con il passaggio di Enrico Borghi dal Pd a Italia viva, ha sei senatori (“e ne arriveranno altri”, giura lui). Sei, dunque. Per adesso. Sufficienti a tenere in piedi il gruppo parlamentare. Calenda invece ne ha soltanto quattro. E così già ce lo immaginiamo, il leader di Azione, mentre interviene in Aula in dissenso dal suo nuovo gruppo “comunista” che intanto vota contro l’invio delle armi in Ucraina.

Tra parentesi: va anche segnalato che Sinistra italiana e Verdi letteralmente controllano il Gruppo misto del Senato, di cui hanno il presidente, il vicepresidente e anche il tesoriere. In pratica significa che pure se volesse una stanza, un ripostiglio, o una penna biro, Calenda dovrebbe chiedere permesso a loro. Telefonatina a Bonelli. C’era già capitato di pensare che Calenda non reggesse il pirotecnico Renzi, ma un livello di sadismo così elevato, una forma di crudeltà e sberleffo così elaborata, non era ancora immaginabile. O comunque, nel quotidiano bullismo dell’uno verso l’altro, non era ancora stata raggiunta. Nemmeno quando Calenda quasi quasi diventava sindaco di Roma, ma gli eletti al Comune erano per la metà di Renzi. O quando Calenda, alle regionali nel Lazio, ci metteva la faccia, faceva campagna elettorale, prendeva i voti, ma alla fine i consiglieri regionali erano tutti di Renzi (e conclusa la campagna elettorale toglievano pure il nome di Calenda da tutti i simboli). Ragione per la quale nel Terzo polo circola da un po’ questo detto: “Può darsi che esista un renziano, in Italia, che abbia perso un treno. Ma non ne esiste uno che abbia perso un seggio”. Il detto su Calenda invece lo omettiamo, in segno di rispetto. D’altra parte egli stesso, per quanto gli è dato capire, vale a dire poco, sta cercando di studiare la situazione. Il primo (complicato) obiettivo è cercare di non twittare. Contare fino a mille. Calenda infatti ha una loquela sismica alla quale pure lui ormai riconosce la generosità di fare molto spesso una sola vittima: lui stesso. Saprà trattenersi, o finirà con Bonelli?

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.