(foto Ansa)

antipasto regionale

A Treviso e Vicenza, Lega e Pd si giocano una bella fetta di Veneto

Francesco Gottardi

Nel suo storico feudo il Carroccio teme l’exploit di FdI, proprio a ridosso del congresso regionale. La città del Palladio invece è l’ultima chiamata per i dem veneti: vincere o sparire

Chiamatelo antipasto regionale. Fari puntati su Vicenza e Treviso, dove le elezioni di domenica prossima forniranno indicazioni chiave sul futuro politico del Veneto. A ogni latitudine. Esiste ancora un’opposizione di centrosinistra? La Lega saprà reggere l’urto dell’avanzata meloniana? O più del partito, in rotta sul territorio, sarà la personalità dei singoli amministratori locali a salvare ancora una volta il Carroccio? Meglio prendere appunti, perché fra un mese si disputerà la resa dei conti interna – il congresso tanto agognato – fra salviniani e dissidenti. Dopo quasi tre anni di veleni. E altrettanti di commissariamento.

 

I due capoluoghi di provincia pesano entrambi, e pesano entrambi in modo diverso. Vicenza è la grande scommessa del Pd, dove il capogruppo in regione Giacomo Possamai affronta il sindaco uscente Francesco Rucco: un indipendente di destra, ex An, poi Pdl e ora conteso da Lega e FdI. I sondaggi danno lo sfidante in leggero vantaggio, soprattutto in ottica ballottaggio. Ma in casa dem il fermento è palpabile. Perché Possamai, 33 anni, non rappresenta il deus ex machina che Damiano Tommasi si era rivelato l’anno scorso per Verona – civico, con i partiti nella penombra, contro un centrodestra dilaniato dalle lotte intestine: formula irripetibile. A Vicenza corre semmai un figlio dell’apparato. E' quanto di meglio abbia saputo esprimere la fragile opposizione veneta, dopo essere stata spazzata via dall’uragano Zaia nel 2020. Non solo: corre contro le ricompattate forze di maggioranza. Per questo una vittoria di Possamai, già bonacciniano ma non inviso a Schlein, restituirebbe una dimensione credibile al Pd. Proprio a partire dalla città in cui il M5S, durante l’ultima campagna elettorale, aveva tentato invano di sfilare ai dem la leadership degli anti-Zaia.

E la destra? Paradossalmente qui si gioca meno. L’amministrazione Rucco è stata piuttosto incolore, poggia sulle poche centinaia di voti di scarto con cui si era assicurata l’elezione nel 2018. E deve fare i conti con il tessuto politico cittadino, che nel decennio precedente aveva sostenuto con vigore il sindaco dem Achille Variati. Insomma: una sconfitta di misura non verrebbe accolta come catastrofe. Invece un colpo gobbo al primo turno – la grande speranza di Rucco, visto che al secondo pentastellati e liste civiche convergono su Possamai – archivierebbe ogni dibattito. Ribadendo cioè che la sfida per il Veneto resta soltanto un derby a trazione conservatrice, fra Lega e FdI.

 

E veniamo allora a Treviso, il banco di prova che mette pressione al Carroccio. Perché la Marca è da sempre una fucina di militanti leghisti. È la terra di Zaia. E pure l’epicentro, in compartecipazione con la Bassa padovana, del congresso regionale che sarà – i tre candidati, Stefani, Marcato e Manzato, provengono tutti da qui. Dunque, si mormora negli ambienti della Liga, impossibile mollare Treviso. Non adesso. Il sindaco Mario Conte è un profilo forte, che è pregio e difetto allo stesso tempo: leghista atipico, vicino al governatore in tema di diritti civili, perfino apprezzato dalle opposizioni. “Ci ho preso un caffè l’altro giorno”, ha dichiarato Carlo Calenda, di passaggio in città: “Più che chiedere il perché a me, dovreste domandargli cosa ci fa lui nel Carroccio”. Lo sfida Giorgio De Nardi, civico, fondatore di un’azienda informatica, che si trova davanti una montagna anche perché non è riuscito a ottenere il sostegno dei principali partiti al di là del Pd. Quindi prepararsi a un Conte bis è tutt'altro che improbabile. La vera questione è come: se a garantirgli la rielezione sarà in primo luogo la propria lista, quella della Lega o quella di Fratelli d’Italia magari non farà tutta la differenza del mondo. Ma del Veneto, di sicuro.