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la riflessione

Il millenarismo tecnologico soppianterà le vecchie utopie? Probabile

Alfonso Berardinelli

Il passato torna a farci visita e ci costringe a vedere il Duemila alla luce del Novecento. Totalitarismi antichi e presunti paradisi futuri nei due saggi di Salvati e Corner sulla rivista "Una città"

Il nostro presente, il nostro passato e futuro politico… in Italia, in Europa e nel mondo. Anche non volendo ci sono sempre occasioni che spingono, che costringono a vedere il Duemila alla luce del Novecento. Smemorati, non si riesce a esserlo. Il passato trova sempre qualche motivo per farci visita: fascismo, comunismo, totalitarismi. Che cosa siamo politicamente, tutti noi, anche presi uno per uno? La materia fluida dei partiti politici e l’assenza di vere fedi ideologiche hanno reso l’elettorato molto più imprevedibile e misterioso di dieci o venti anni fa. Ripetiamo che le democrazie sono “in crisi” per difficoltà di funzionamento; oppure diciamo che le democrazie sono “in pericolo” sia a causa di minacce esterne (regimi dittatoriali in potenze di primo piano) sia di minacce interne (il rischio che le destre si radicalizzino perché le sinistre non sanno cosa fare e come essere).

Ricevo dalla rivista "Una città" una serie di opuscoletti e scelgo di leggerne subito due di cui mi sembra difficile fare a meno. Il primo è “Socialdemocrazia e sinistra liberale” di Michele Salvati, il secondo è “Il consenso totalitario” di Paul Corner.

Il saggio di Salvati è inevitabilmente un po’ labirintico, dato che intreccia i suoi riferimenti al passato (soprattutto il trentennio delle politiche di sinistra 1945-75) a quello che è accaduto in seguito, con Thatcher e Reagan e fino a oggi. Come segnala l’autore, il suo titolo dovrebbe più precisamente essere: “La sinistra di fronte alla fase attuale del capitalismo: globalizzazione e rivoluzione tecnologica”, un argomento sterminato sul quale esiste infatti una bibliografia internazionale non meno estesa, che spazia dall’economia alla sociologia culturale e alla psicologia sociale. Perciò Salvati si tiene stretto al livello storico-politico, nella speranza di fare un po’ di chiarezza, schematicamente e “a volo d’uccello”, sul rapporto fra la situazione sociale e le scelte politiche più adeguate ad affrontarla nel rispetto di una cornice liberaldemocratica. La sua preoccupazione è che la sinistra si frammenti nominalmente e si indebolisca non riconoscendo i fondamenti della propria unità sostanziale, sopravvalutando come ragioni di divisione interna scelte contingenti che divisive non dovrebbero essere. Ci si dovrebbe cioè concentrare sull’idea che purtroppo fu disprezzata in passato, quella classica di socialdemocrazia; e oggi si dovrebbe più semplicemente parlare di un “liberalismo di sinistra” che si oppone al “liberalismo di destra” e alle sue versioni pericolosamente insensibili alle disuguaglianze sociali.

Non posso riassumere le varie argomentazioni storiche e analitiche di Salvati, ma in estrema sintesi contenuto e tono del suo discorso mi sembrano condensati in questa frase assennatamente dubitativa: “Conciliare democrazia, istituzioni politiche liberali, welfare state, globalizzazione e rivoluzione tecnologica non è un affare semplice”. Ma se si fallisce, arrivano i guai: c’è da temere l’attuale tendenza verso “democrazie illiberali” o peggio. 

Se si prova a precisare un tale “peggio”, cioè a forme di populismo autoritario, qualcosa può insegnare l’altro opuscolo, quello in cui lo storico Paul Corner riflette sul “consenso totalitario”, avvertendo che nessun totalitarismo, per essere “totale” e per durare, può fare a meno di un’alta quota di consenso di massa, benché ambiguo e ambivalente. L’interesse del discorso è il suo carattere socioculturale e psicosociale. I due esempi di cui si serve Corner sono l’Unione sovietica e il fascismo italiano. Che cosa avveniva nella vita quotidiana e nella testa delle popolazioni russa e italiana sotto quei regimi? Non si trattò solo di coercizione e repressione. Il controllo della società si realizzava a metà strada fra coercizione, repressione e un qualche “senso di approvazione”. I veri totalitarismi creano infatti una “doppia realtà”: si può soffrire oggi perché si è oppressi e angariati, ma in compenso il regime promette un domani in cui si realizzerà “un nuovo mondo”, nascerà “un uomo nuovo”. La sofferenza attuale viene presentata come il prezzo da pagare per raggiungere il paradiso futuro che il regime totalitario sta preparando. Senza vendere utopie e sogni i totalitarismi non reggerebbero, non sarebbero in grado di radicarsi. Non c’è scelta, non c’è alternativa: questo è il messaggio che il potere totalitario trasmette alla popolazione. Un potere che ha bisogno di un’utopia per cui lavorare e a cui sacrificarsi...

A questo punto ci si può chiedere: in che misura le nostre democrazie di massa tecnologizzate e globalizzate credendo di aver eliminato le vecchie utopie ne incarnano, ne creano un’altra, quella di un progresso futuro garantito da uno sviluppo illimitato del presente così com’è? Sì, la democrazia per ora è difettosa e imperfetta. Ma sarà perfetta domani. Il millenarismo è duro a morire: ora è tecnologico.

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