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Dall'Europa all'oriente asiatico, questo è lo stato del mondo sotto il suo cielo tempestoso

Adriano Sofri

Il confine tra il fronte delle autocrazie e quello delle democrazie è una tenace linea che passa dentro ciascun paese, ciascun popolo, perfino dentro ciascun individuo

Sullo stato del mondo. La cronaca, intanto. In risposta alla disponibilità ventilata dalla presidente della democratica Corea del sud, il teppista Medvedev avverte che ci accorgeremo presto di che cosa voglia dire la fornitura russa di armamenti a Pyongyang. L’affettuosa e guardinga tutela di Pechino e Mosca alla Corea del nord è cosa di sempre, ma in genere c’era un po’ più di discrezione nell’ostentare l’intimità. Come la Corea del nord proceda negli armamenti, l’ha riassunto qui Giulia Pompili ieri, e si salvi chi può. Mentre divampava l’eroica ribellione di ragazze e donne e uomini liberi in Iran, l’alleanza militare e “morale” tra il regime islamista sciita e la federazione russa di Putin non faceva che rafforzarsi, col risultato di rovesciare sull’Ucraina miriadi di droni micidiali chiamati appunto Shahid – martiri – ogni tanto un po’ riverniciati. Cina e Russia, dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, non hanno smesso di esaltare l’amicizia eterna. La Cina ha bensì redatto un suo preambolo che ribadisce solennemente il “rispetto di sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti i paesi secondo le leggi internazionali”, ma si è guardata dall’accorgersi che la Russia l’aveva barbaramente calpestata. E così via. 

La morale apparente: tutto va per il meglio, o almeno nel modo più chiaro. Le democrazie – l’“occidente collettivo”, estremo oriente giapponese compreso – si uniscono da una parte, le autocrazie – in realtà spesso autentiche tirannie – si uniscono dall’altra. Solo che non è così. Forse è meglio di così, forse è peggio.

Il primo punto è quello già citato. Dentro le più infami autocrazie, come la clerocrazia sciita iraniana, c’è una vasta parte della popolazione, forse la maggioranza, certo la parte più giovane e colta e aperta – donna vita libertà; c’è un ideale “occidente” imprigionato che anela a spezzare le sue catene. Nel regime talebano – i cui capi sono stati appena ricevuti a Pechino, sugli stessi tappeti calcati da parecchi capitribù dell’occidente collettivo – paura e vendetta sulle donne e sulle bambine avanzano sadicamente, dall’esclusione dall’istruzione al divieto di lavoro con le Nazioni Unite. La Bielorussia al soldo di Putin fa dimenticare di esser stata spaccata almeno a metà appena poco fa, e di esser stata ricondotta alla servitù da una spietata e criminale repressione. Quanto alla Russia, il 70 per cento di adesione che ancora i sondaggi più o meno attendibili assegnano a Putin è risarcito, più che dalla moltitudine di cittadini evasi, dal coraggio sbalorditivo di quelli che, in balia di carcere e torture e veleni, proclamano alto la propria fede nella libertà e nella giustizia. 
E così via: le autocrazie, semplicemente, non sono compatte. E le democrazie, che per riconoscersi nonostanti le innumerevoli contraddizioni e cadute hanno da guardare agli ideali di quelle ribellioni audaci e apparentemente senza speranza, devono fare bene i conti quando improntano le proprie relazioni internazionali al realismo degli interessi economici e diplomatici. Il realismo ha, dovrebbe avere, un limite invalicabile, quando si traduca in una affrettata complicità col proprio nemico giurato.

Il secondo punto è quello dell’unità delle autocrazie, subìta e quasi compensata dalla sensazione della propria rinsaldata unità “democratica”. Che paesi decisivi, non solo per la dimensione, come Cina e India, divisi e largamente rivali per più ragioni, si ritrovino dalla stessa parte in una crisi di relazioni mondiali che sta incubando la guerra, è forse inevitabile, ma non prima che si sia fatto tutto quello che si può ed è giusto per evitarlo. O il Brasile. Il vecchio redivivo Lula mostra di cedere a una affinità con le autocrazie ben oltre di quanto lo forza a fare l’interesse economico del suo grande paese. Ma che un governo brasiliano succeduto alla farsa tragica e grottesca del regime di Bolsonaro sia senz’altro infeudato al blocco delle autocrazie, è la più amara delle sorti.

Il terzo punto riguarda l’anatomia degli occidenti, della loro confezione propagandistica in “occidente collettivo”. Fare il nome di Bolsonaro vuol dire accostargli subito quello di Donald Trump: ben altro occidente, che ancora incombe sull’orizzonte, con lo stesso nome o con altri non meno micidiali. Le democrazie sono divise per definizione: si portano dentro, nella famosa pancia, orienti e occidenti, albe e tramonti, e a turno li vedono affiorare e prevalere. I comportamenti dei titolari dispotici o rispettivamente dei rappresentanti provvisori delle democrazie, hanno un rapporto del tutto capriccioso con i loro pretesi princìpi. Putin è stato un così buon amico di Berlusconi per una intima affinità di gusti, con la sola differenza di un’ipocrisia spudorata: quella che lo fa apparire compunto accanto al suo patriarca, manigoldo ipocrita a sua volta, pronti insieme a far appello al Sud Globale contro un occidente omosessuale, transessuale, e tutta quell’altra sfilza di maiuscole che si vergognano anche solo a pronunciare. Dall’altra parte, da noi, per esempio, non sono più i tempi dei democristiani e delle esimie consorti, della lapidazione di Fiorentino Sullo, della doppia e terribile vita di Togliatti e Jotti: una premier Dio patria e famiglia non ha voglia né bisogno di sposarsi, e grazie al cielo – sul serio – può andare così a incontrare Francesco. Ma il manifesto cui Putin – aspirante capo del servizio d’ordine di Xi, il suo Kadirov – chiama il resto del mondo, contro le deviazioni dalla natura, e lo stesso slogan con cui chiama (salvo andare a rastrellarli) i “suoi” giovani ad arruolarsi: “Dimostra di essere un vero uomo!”, non sono privi di rispondenza dentro la famosa pancia degli occidenti. L’altroieri si è votata al Parlamento europeo un’ennesima risoluzione per la depenalizzazione universale dell’omosessualità, ispirata al recente soprassalto di intolleranza in Uganda, dove si vuole ripristinare, “nei casi gravi”!, la pena di morte. E l’omosessualità è variamente reato in una gran parte dei paesi della terra. L’altroieri il voto contrario degli esponenti della destra italiana si è appigliato all’emendamento presentato da Verdi e sinistra, e passato a maggioranza, che deplorava gli incoraggiamenti alla discriminazione venuti dai governi di Polonia, Ungheria e Italia. 

Oggi, la posizione dell’Italia al fianco della resistenza ucraina e dell’alleanza che la sostiene, è legata alla decisione della presidente del Consiglio, oltre che del Pd, e alla raccomandazione morale della presidenza della repubblica: ma nel governo e nell’opposizione ci sono forze che hanno mostrato platealmente la loro passione per le autocrazie e i loro capi, per amore o per insipienza, e ci sono forze e personalità nel cui palato le parole di Kirill e di Dugin si sciolgono come miele. 

La Polonia cui il nome dell’Italia si è trovata in questa circostanza tristemente associata, è al tempo stesso nella prima linea dell’avversione all’invadenza russa e alla solidarietà con l’Ucraina – appena incrinata dalla competizione sullo smercio del grano – e nella prima linea della resistenza contro l’invasione lgbtiq+. Poco fa, il parlamento europeo aveva dichiarato l’Ue “zona di libertà lgbtiq”, reagendo alla diffusione di centinaia di “zone esenti dall’ideologia lgbtiq” in Polonia (come denuclearizzate…) e alle leggi di stampo russo votate in Ungheria. Nell’ottobre scorso un militante di estrema destra aveva assassinato due giovani gay a Bratislava, in Slovacchia, e il parlamento europeo aveva votato una risoluzione che esortava tutti i governi della Ue a combattere l’incitamento all’odio, e a indagare e perseguire i crimini ispirati dall’odio e la violenza contro le persone lgbtiq. I voti favorevoli erano stati 447, 78 i contrari, 45 gli astenuti. “23 dei contrari erano italiani di Fratelli d’Italia e della Lega, e uno di Forza Italia”. 

C’è un fronte delle autocrazie, infatti. E c’è un fronte delle democrazie. Sono separati e insieme attraversati dai più vari e contradditori interessi. Ma a segnarne il confine vero non è una linea fra est e ovest, né una linea fra nord e sud, ma una volubile e però tenace linea che passa dentro ciascun paese, ciascun popolo, perfino dentro ciascun individuo. E’ questo lo stato del mondo, sotto il suo cielo tempestoso.

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