(foto Ansa)

Il caso

Il Pd torna a dividersi sugli accordi con la Libia (di cui discute da anni)

Luca Roberto

Schlein chiede ai suoi di votare un ordine del giorno di Sinistra italiana che rinnega il memorandum sottoscritto da Minniti. I deputati Amendola, Madia e Quartapelle preferiscomo uscire dall'Aula: "Ma non è una spaccatura"

Per una parte del Pd è sempre stato una specie di ritornello, l'abiura degli accordi con la Libia. Sottoscritti dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti all'epoca del governo Gentiloni, sono stati via via osteggiati da una fetta più o meno cospicua di democratici. Schiacciati su una cosiddetta "linea umanitaria". Solo che ieri, nelle pieghe dell'approvazione in Parlamento del Dl Cutro, quel che un tempo era minoranza s'è ritrovata dall'altra parte, perché quasi tutto il gruppo di deputati del Pd ha votato un ordine del giorno presentato dai Verdi-Sinistra italiana in cui si chiede di sospendere immediatamente tutti gli accordi attualmente in vigore con Tripoli. Risultato? Il Pd s'è spaccato, di nuovo, ma in maniera diversa rispetto al passato.

 

Con la presa della segreteria, Elly Schlein ha voluto imprimere una svolta alle posizioni del partito. E mentre sul sostegno all'Ucraina, così come sulla collocazione euroatlatica, la nuova leader del Pd non ha voluto per ora stravolgere alcunché (anche se nella nuova classe dirigente serpeggia un seme d'ambiguità sui dossier esteri), sulle questioni migratorie, molto a cuore al nuovo corso dem, Schlein voleva un segnale di discontinuità, anche a costo di rimangiarsi una parte della propria storia recente. Così ieri ha dato mandato alla capogruppo Chiara Braga di far votare ai suoi sì all'ordine del giorno presentato dalla sinistra-sinistra, senza attendismi o tatticismi che avrebbero tolto una parte dei parlamentari dall'imbarazzo.

Il malessero più evidente lo hanno manifestato i deputati Enzo Amendola, Marianna Madia e Lia Quartapelle, che avrebbero preferito una discussione interna prima di decidere sul da farsi, E quando è stato imposto loro di votare seguendo le indicazioni di partito, hanno preferito farsi da parte, uscendo dall'Aula e non partecipando al voto. Anche se poi hanno cercato di minimizzare, perché, come ha spiegato l'ex ministro Amendola, "non c'è nessuna spaccatura". Semplicemente, "non ho votato un odg che aveva premesse irricevibili. Gli accordi con la Libia sono consegnati al passato e adesso tocca alla Ue, ma lanciare sentenze sommarie su vicende complesse non mi appartiene".

Ed è proprio in questo voler processare una parte delle proprie posizioni recenti che il Pd si ritrova (almeno in parte) disunito. Non il massimo se l'obiettivo, come ha ricordato anche ieri il responsabile esteri Giuseppe Provenzano attaccando la Francia per le critiche all'Italia, è avere un'opposione che si muova in maniera unitaria. Un tempo questo lavorìo polemico lo portava avanti la corrente dei Giovani Turchi legata a Matteo Orfini. Poi anche con Letta segretario s'erano auscultate voci critiche che chiedevano di chiudere quella pagina storica. In particolare la corrente cattolica vicina all'ex ministro Graziano Del Rio. Un anno fa il gruppo dem non aveva votato, in Parlamento, il rifinanziamento alla Guardia costiera libica, perché nel loro giudizio l'allora ministro dell'Interno Luciana Lamorgese non aveva ottenuto risultati soddisfacenti dal punto di vista degli obiettivi umanitari. 

Fa un certo effetto vedere che da singole voci che erano, quelle a mettere completamente in discussione gli accordi con la Libia, ora sono diventate la quasi totalità del Partito democratico. E chi prima tra i dem stava sul versante opposto lo vive con un certo imbarazzo.

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