Il caso

Sull'Ucraina Schlein parla di continuità, ma nel Pd ora c'è solo più ambiguità

Luciano Capone

Il sostegno militare del Partito democratico a Kyiv è sempre meno esplicito, mentre le insofferenze verso la Nato e le critiche all’Europa sempre più visibili. Da Delrio a Boccia fino alla decina di esponenti in direzione nazionale contrari all'invio di armi

La posizione formale del partito è sempre la stessa, ribadita nella risoluzione presentata in Parlamento che chiede di “continuare ad assicurare il pieno sostegno, con tutte le forme di assistenza necessarie, al popolo e alle istituzioni ucraine”, quindi anche le armi, e di “sostenere un ulteriore rafforzamento da parte dell’Unione europea della pressione collettiva sulla Russia, isolandola, affinché ponga fine ai combattimenti e si ritiri dal territorio ucraino”. In sostanza, piena adesione alla linea dell’Europa e continuità con il governo Draghi. Ma in realtà, il Pd di Elly Schlein è molto cambiato rispetto a quello di Enrico Letta. Ora il sostegno militare a favore dell’Ucraina è sempre meno esplicito, mentre le insofferenze verso la Nato e le critiche all’Europa sono sempre più visibili.

 

È come se il partito, con una manovra lenta ma costante, di quelle che si addicono a un transatlantico, stia cambiando rotta. Sebbene Schlein abbia votato a favore anche della conversione in legge del decreto che ha prorogato per tutto il 2023 l’invio di aiuti militari agli ucraini, sul tema preferisce non esporsi. Tanto che, a differenza delle precedenti discussioni parlamentari, nell’ultima occasione si è sottratta al confronto diretto con Giorgia Meloni, lasciando per un giorno il ruolo di anti-Meloni a Giuseppe Conte che invece ha esposto in maniera chiara la posizione del M5s. Non è chiaro se il silenzio sia dovuto di più al fatto di non voler apparire come favorevole all’invio di armi o a quello di non voler apparire in accordo con la presidente del Consiglio. Sta di fatto che non solo Schlein non ha espresso la linea del Pd in prima persona, ma non l’hanno fatto neppure personalità del partito vicine a lei: l’incombenza è toccata a esponenti della minoranza, come Alessandro Alfieri o Marianna Madia.

 

Naturalmente l’ambiguità è meno possibile a Bruxelles, dove Schlein ha debuttato da segretaria del Pd nel vertice del Pse prima del Consiglio europeo. Sebbene non abbia esattamente lo stile diretto della collega finlandese Sanna Marin – che ha più volte ribadito che “l’unica via d’uscita dalla guerra è che la Russia lasci l’Ucraina” e, in visita a Kyiv, che “l’Ucraina ha bisogno soprattutto di armi e armamenti più pesanti” – Schlein si è tenuta allineata ai socialisti europei: “Sono fondamentali – ha detto – il prosieguo e l’unità nel supporto all’Ucraina anche nel suo diritto di autodifesa”. Fa attenzione, la segretaria del Pd, a non pronunciare la parola “armi” ma in sostanza non si discosta dalla linea assunta da tutta l’Unione europea (con l’eccezione dell’Ungheria di Orbán).

 

Ma le parole sul tema cambiano molto tra Bruxelles e Roma. Come mostra, ad esempio, la presenza nei giorni scorsi di un dirigente come Graziano Delrio a un dibattito con Maurizio Gasparri (FI), Massimiliano Romeo (Lega), Stefano Patuanelli (M5s) e Gianni Alemanno per condurre Putin e Zelensky al tavolo della pace. Al di là delle diverse posizioni assunte in Parlamento sul sostegno militare all’Ucraina, ciò che emergeva dal dibattito era una critica unanime all’assenza dell’Europa, più impegnata a inviare armi che a cercare la pace. Come se i vari tentativi di dialogo con Putin fatti dai vari leader europei non fossero esistiti e come se le altre iniziative, diverse da quelle europee, dalla Turchia alla Cina passando per il Vaticano, abbiano avuto invece qualche successo. “Noi colleghi seduti a questo tavolo ragioniamo su una mozione parlamentare che sia focalizzata a promuovere un’iniziativa diplomatica”, dice Delrio. Come se questa richiesta non fosse già presente in tutte le mozioni.

 

È una posizione espressa ancora più chiaramente pochi giorni fa da Francesco Boccia, uno degli esponenti più vicini a Schlein, secondo cui l’Europa non ha intrapreso iniziative per la pace “a causa della sudditanza psicologica nei confronti degli Stati Uniti”. Parole che sono poco compatibili con quelle pronunciate da Schlein a Bruxelles.

 

Ma il fronte ostile alla continuità e “unità” europea invocata dalla segretaria è molto più ampio. Nella nuova direzione nazionale del Pd, ad esempio, sono entrati una decina di esponenti apertamente contrari al sostegno militare e all’autodifesa dell’Ucraina, da Laura Boldrini a Erasmo Palazzotto, da Sandro Ruotolo a Susanna Camusso, da Arturo Scotto alle sardine Mattia Santori e Jasmine Cristallo. Proprio quest’ultima ha spiegato cos’è cambiato: “Schlein ha una posizione diversa dalla mia, però c’è una novità: prima nel Pd era difficile parlare di pace, c’era solo la direzione che spingeva per l’invio di armi mentre ora è in atto un dibattito molto articolato”.

 

Schlein ha vinto le primarie promettendo radicalità su tutte le scelte di fondo del Pd: è così su molte questioni, ma sul supporto all’Ucraina c’è solo più ambiguità.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali