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editoriali

Perché paragonare Meloni a Pinochet non ha alcun senso

Redazione

Per il sociologo Domenico De Masi, Luigi Di Maio era come Gesù Cristo e la premier come il dittatore cileno. Dietro a queste affermazioni c'è tanta ideologia e poca lucidità 

I commenti al decreto Lavoro del governo Meloni mostrano una perdita di lucidità, persino in chi non manifestava segnali di averne ancora. Il sociologo Domenico De Masi, noto per aver inventato una singolare teoria “Lavorare gratis, lavorare tutti”, non a caso punto di riferimento intellettuale del M5s e di conseguenza direttore della “Scuola del Fatto quotidiano”, ha paragonato Giorgia Meloni al dittatore cileno Augusto Pinochet. La tesi è che finora, nel mondo modellato da Giuseppe Conte, tutto funzionava alla perfezione: il Reddito di cittadinanza aveva abolito la povertà, il decreto Dignità aveva abolito la precarietà e “grazie ai navigator più di 300 mila disoccupati hanno trovato lavoro”. Poi è arrivata la Meloni che ha smantellato tutto insidiando così “il primato neoliberista che fu della Thatcher inglese negli anni Ottanta e del Pinochet cileno negli anni Settanta e Ottanta”. E questo perché ha “abolito il decreto Dignità che garantiva gli ultraprecari e deformato il Reddito di cittadinanza che assisteva i più poveri”, ricordando appunto i “disastri” inglesi e cileni. Ma Giorgia Meloni non è Thatcher, purtroppo, e non è neppure Pinochet, per fortuna. Il decreto Lavoro riduce per un po’ le tasse ai lavoratori, allarga le causali per il rinnovo dei contratti a termine e fa una riforma pasticciata del Rdc. Non è nulla di rivoluzionario né reazionario. Ci sono misure che ovviamente sono criticabili, ma il paragone con un dittatore non ha alcun senso. E’ solo una misura dell’ottusità ideologica dell’autore, che già in passato aveva paragonato (non ironicamente) Luigi Di Maio, allora leader del M5s, a Gesù Cristo. Con la stessa lucidità ora paragona Meloni a Pinochet. E comunque si tratta, per un sociologo del lavoro, di affermazioni che hanno un fondamento maggiore rispetto alla convinzione che “grazie ai navigator più di 300 mila disoccupati hanno trovato lavoro”.