Il caso

"Voi in Aula, io esco". Meloni in tour per le città, stretta sui permessi dei deputati

Simone Canettieri

Dopo l'inciampo sul Def, la premier chiede a Ciriani di stringere le maglie della maggioranza: ecco il lodo quorum. La leader andrà ad Ancona, Brescia, Catania e Latina

E’ andata bene”. Sorrisini e mezze pacche sulle spalle avvolgono Luca Ciriani in Transatlantico. Di risposta: ecco una smorfia del diretto interessato. Le pregiudiziali sul decreto Cutro sono state respinte dalla maggioranza: niente scherzi, questa volta. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, come si sa, la settimana scorsa ha vissuto un brutto quarto d’ora quando il governo è andato sotto alla Camera sullo Scostamento di bilancio, con Giorgia Meloni in missione a Londra. Figura barbina. Da dimenticare. E soprattutto da non far più accadere. Ecco perché la premier appena tornata a Roma, licenziato il decreto Lavoro, ha chiesto a Ciriani di parlare con i capigruppo di maggioranza per un lodo quorum. Una stretta sulle missioni e sui permessi. 

Regolamenti alla mano sono in missione, dunque assenti giustificati, i presidenti di commissione e tutti i membri dell’ufficio di presidenza. Poi, a seconda dei casi, i vari presidenti dei gruppi autorizzano – anzi giustificano come a scuola – i singoli parlamentari se non si presentano in Aula. Il giorno del pasticcio, giovedì scorso, alla fine si è venuto a sapere che tra ritardi causa bagno, seminari all’estero, ponti con la famiglia e legittimi impedimenti le truppe hanno creato questo pasticcio. Ecco perché Ciriani ha iniziato a incontrare Tommaso Foti, che guida i deputati di Fratelli d’Italia. I due hanno aperto un’istruttoria, nome per nome, sugli assenti: andando a capire perché giovedì hanno marcato visita.
 

Gli ingiustificati erano comunque cinque. E poi farà altrettanto con Riccardo Molinari della Lega (che dovrà rispondere degli 11 deputati fuori), Paolo Barelli di Forza Italia (nove non pervenuti) e via a scendere. “Una roba del genere non deve più accadere, io sono senza parole. Voi non vi rendete conto”, sono state le parole, non proprio sussurrate da Meloni ai suoi colonnelli appena saputo della figuraccia. Oltre alla stretta sui permessi, si pensa anche a metodi artigianali per presidiare l’Aula. Qualche esempio: se deve essere convertito un provvedimento di un ministro della Lega, tocca al Carroccio darsi da fare di più per far tornare i conti. Come raccontava Igor Iezzi, anima salviniana a Montecitorio, a chi lo interrogava. E stessa cosa con gli altri partiti. Il tutto con la regia di Ciriani, certo, a cui devono tornare sempre i numeri della calcolatrice. Insomma, un lodo quorum. Niente di eccezionale, cucina parlamentare. L’inciampo nel Palazzo è servito a Meloni anche a un altro ragionamento. Anche questo è semplice semplice: è meglio che i soldati stiano in Aula e che esca lei il più possibile.
 

Ecco perché, con lo sguardo fisso ai sondaggi, la premier ha in mente di tornare, almeno part time, presidente e leader di Fratelli d’Italia. In mezzo alla visita a Praga dal presidente del governo (conservatore) Petr Fiala ha piazzato qualche piazza nostrana. Lunedì sarà ad Ancona per sostenere il candidato sindaco di centrodestra Daniele Silvetti, nelle Marche, regione felix, laboratorio dell’amico fraterno e governatore fratello (d’Italia) Francesco Acquaroli. Il venerdì seguente è attesa in Lombardia, a Brescia, al fianco di Fabio Rolfi, il leghista voluto da Matteo Salvini per espugnare il comune in mano al centrosinistra.

Dunque Meloni Alpitour. O meglio, alla maniera di Piovene, in viaggio in Italia. Perché prima del voto delle amministrative ha dato disponibilità al coordinatore Giovanni Donzelli di affacciarsi anche a Catania per Enrico Trantino, indicato da Via della Scrofa al posto di Salvo Pogliese, primo cittadino dimissionario diventato parlamentare, fedelissimo della premier in quanto generazione Atreju in purezza. Se il tempo non sarà tiranno, impegni internazionali permettendo, è possibile anche un blitz nella fatale Latina. Insomma, Giorgia va in città purché i suoi rimangano nel Palazzo a votare. E oggi c’è la fiducia sul dl Cutro.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.