Recovery

La pazza tenda Pnrr. Esperti di catastrofi, "legge obiettivo" e faldoni alti mezzo metro

Carmelo Caruso

L'ex capo della Protezione Civile a capo del dipartimento del digitale per far fronte ai ritardi sui progetti europei. Il governo alle prese con il Pnrr pensa ora al modello "Legge obiettivo" di epoca berlusconiana

Il Pnrr è una “catastrofe”, non è un modo di dire. Sapete chi è il capo dipartimento per la Trasformazione digitale incaricato dal governo Meloni? E’ Angelo Borrelli. Si, lui. Era l’ex capo della Protezione Civile, l’esperto di “disgrazie” di Conte e Speranza. Giorgia Meloni è sicuramente tenace. Garantisce che “l’Italia userà tutti i soldi del Pnrr”. Con la stessa tenacia bisogna però chiederle: se si è avvalsa di Borrelli,  perché non ha fatto altrettanto con Roberto Garofoli, l’ex sottosegretario di Draghi, il “papà” del Pnrr, l’italiano che lo ha seguito sin dall’inizio?

 

La premier non poteva dirlo meglio. A Verona, durante il Vinitaly, ha dichiarato che per le partecipate di stato, in molti casi, si seguirà il metodo della continuità. Lo si farà in Eni, una industria strategica per il paese così come strategico è il Pnrr. Il “papà” del Pnrr, lo sanno governatori, sindaci, funzionari, è Garofoli. Oggi Garofoli è tornato al suo vecchio lavoro: consigliere di stato. Perché Meloni non gli ha chiesto di continuare come vuole fare con Descalzi? Meloni non ha torto. Dice che al suo esecutivo è rimasto il compito più gravoso. Quando si parla di Pnrr bisogna distinguere milestone (obiettivi) da target (traguardi raggiunti). Il governo Draghi ha raggiunto milestone e una parte di target, mentre il governo Meloni deve raggiungere il grosso dei target. E’ la parte più difficile, e non c’è dubbio, ma come dice Giuseppe Conte alla Camera, e al Foglio: “Quando Meloni si è candidata, non lo sapeva? Prima la colpa era di Draghi ora la vuole dare a me. Tutta colpa di Conte. E’ così che vuole andare avanti?”.

 

Secondo il criterio della continuità, caro a Meloni, cosa sarebbe stato saggio fare? Lo pensano i sindaci; due su tutti, quelli di Firenze e Venezia, Dario Nardella e Luigi Brugnaro: si doveva chiedere a chi ha aperto il dossier Pnrr di portarlo a termine.  Sia Nardella sia Brugnaro hanno avuto  un colloquio con il ministro Fitto e gli hanno spiegato che aver inserito nel Pnrr l’ammodernamento dei loro stadi non è la solita furbizia all’italiana, ma una specificità italiana. Lo stadio Artemio Franchi è, ad esempio, un’opera dell’architetto Pier Luigi Nervi. Non è forse anche questo Recovery?

 

Il governo Meloni promette di difendere i sindaci e rispondere alle osservazioni della Commissione europea, ma deve presto replicare alle osservazioni italiane: come è possibile che, da mesi, un suo ministro, Fitto, non riesce a conoscere lo stato di avanzamento dei lavori del Pnrr? Lo scorso fine settimana, a Cernobbio, nel corso del Forum Ambrosetti, è stato distribuito un dossier sullo stato di avanzamento del Recovery. Il dossier registrava che le amministrazioni non forniscono dati, che le amministrazioni rifiutano di partecipare ai bandi perché li trovano farraginosi. Neppure cominciano. Dicono: “Inutile. Non si può fare”. Gira una fotografia che tra i parlamentari ha già fatto epoca. E’ la foto del manuale del Pnrr. È alto circa sessanta centimetri. Sono cinque faldoni. Quale tecnico comunale è capace di leggere e comprendere un “bugiardino” di oltre cinquemila pagine?

 

Nel governo, in queste ore, si parla di salvare il Pnrr riprendendo come modello la “legge obiettivo”. E’ una legge che risale al 2001, a firma Berlusconi. Di fatto, detta in breve e sicuramente detta male, si commissaria la realizzazione delle opere, la si toglie agli enti regionali o comunali. Lo spirito di quella legge è stato recepito dal governo Draghi nel dl 77 del 2021. E’ già possibile per il governo applicare poteri sostitutivi per le opere bloccate. Il governo Meloni potrebbe tuttavia forzare ancora, e di più. I burocrati sono pronti a scommetterci: “Vedrete che si arriverà a questo: modello Morandi e legge Obiettivo in maniera massiccia”. E ora, tornando all’inizio, e senza nulla togliere a Borrelli, ma si può passare dalle mascherine ai cloud? Chi opera nelle tecnologie avanzate ha seri dubbi. Se solo si andassero a riprendere le peggiori contumelie di FdI, contro i tecnici di Conte (e Borrelli era tra questi) ci sarebbe da sorridere. Il Foglio aveva già raccontato che in quel dipartimento digitale, quello che prima era addirittura il ministero di Vittorio Colao (oggi governato dal sottosegretario di FdI, Alessio Butti) in pochi mesi c’è stato un esodo che neppure in Egitto.

 

L’ultimo esperto ad aver lasciato è Stefano Parisse. Un’altra figura è scomparsa dall’agenda della presidenza del Consiglio. Si tratta di Daniela Mauri. Era la responsabile dell’attuazione del Pnrr. E’ chiaro adesso perché nessuno comunica lo stato di avanzamento dei lavori? Chi dovrebbe farlo? In tutto questo, dal 23 marzo, e per fortuna (vi riportiamo il comunicato del governo) “Mario Nobile è il nuovo direttore generale dell’AgId (l’agenzia per l’Italia digitale). La nomina conclude il percorso di selezione indetto dal sottosegretario Alessio Butti”. Cinque mesi sono trascorsi per selezionare il personale così come procedura e burocrazia ordinaria impongono. Rimangiamo tutto. Volete vedere che la nomina di Borrelli è forse la più azzeccata?

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio