Roma, Palazzo Chigi con i colori della bandiera ucraina (LaPresse) 

Le cinque balle filo Putin smascherate

In tutti i paesi europei vince chi sostiene l'Ucraina, ecco la verità

Claudio Cerasa

I professionisti della zizzania provano a indebolire le democrazie annunciando sventure: sanzioni e sostegno a Kyiv danneggiano noi. Tutto falso, ecco i numeri. E in Europa le elezioni premiano la libertà

Stiamo calmi, perché le sanzioni alla fine fanno male più a noi che a loro. Stiamo buoni, perché il costo delle materie prime presto non sarà più gestibile. Stiamo attenti, perché senza esportare in Russia le nostre imprese sono destinate a collassare. Restiamo prudenti, perché senza il gas russo, vedrete, non riusciremo mai a superare l’inverno. Stiamo accorti, perché le nostre democrazie non sono fatte per difendere la pace di paesi lontani dai nostri. Cinque delle grandi verità che con una certa disinvoltura i professionisti della zizzania hanno utilizzato in questi mesi per alimentare dubbi attorno all’opportunità della difesa dell’Ucraina da parte dell’occidente, da parte dell’Europa e da parte dell’Italia, improvvisamente, di fronte alla realtà dei fatti, si sono andate magnificamente a squagliare come neve al sole.

  

Si è detto che la difesa dell’Ucraina avrebbe fatto crollare l’economia europea, più che quella russa, e alla fine le cose sono andate come sappiamo: l’Unione europea, nel 2022, è cresciuta più del previsto, nel 2023 crescerà ancora più delle aspettative e nel frattempo la Russia (dati di gennaio) ha perso il 40 per cento dei ricavi provenienti dalle esportazioni di gas e petrolio, è stata costretta a vendere le riserve internazionali per coprire il deterioramento del deficit e si ritrova ad avere un costo medio del greggio che oggi è quasi la metà rispetto a quello registrato nel 2022 (49 dollari al barile tra gennaio e febbraio 2023, 89 dollari al barile tra gennaio e febbraio 2022). Stessa storia sul costo delle materie prime e dell’inflazione: l’Eurostat, solo per citare il caso italiano, ha rivisto al ribasso l’inflazione a febbraio, in calo al 10,9 per cento rispetto al 12,3 per cento di dicembre, non troppo distante dal livello dell’inflazione registrato in Italia poco prima della guerra, a febbraio 2022, quando i prezzi erano già aumentati circa del 5 per cento. Stessa storia, ancora, per le esportazioni: i fratelli di Putin, in Italia, ci avevano avvertito da tempo, già dalla Crimea, dicendoci che qualsiasi forma di sanzione contro la Russia non avrebbe fatto altro che distruggere le nostra economia, fiaccare le nostre imprese, devastare le nostre esportazioni.

  
E invece oggi scopriamo che le esportazioni dell’Italia verso la Russia valgono la bellezza dell’1,5 per cento del nostro export totale (nulla), che a novembre del 2022 l’Italia ha superato la cifra record dei 600 miliardi di esportazioni (boom!) e che la difesa dell’Ucraina non ha avuto un impatto recessivo sulla crescita dell’Italia (nel 2023, il pil dell’Italia crescerà circa dello 0,8 per cento, quando le previsioni degli scorsi mesi consideravano scontata, per l’anno in corso, una recessione del nostro paese).

 

Stessa storia sul gas russo, lo abbiamo visto, e la velocità con cui l’Italia è riuscita a trovare alternative all’importazione di gas proveniente dalla terra di Putin, miscelando nuove fonti di approvvigionamento, rafforzando collaborazioni con i paesi del nord Africa e facendo affidamento anche a una maggiore responsabilità degli italiani nei loro consumi ha permesso di avere un inverno sostenibile, senza razionamenti, con qualche sacrificio ma senza un numero eccessivo di traumi irreparabili.

 

E dunque, in sintesi. Le sanzioni non stanno funzionando come si sperava, ma in ogni caso stanno funzionando. I costi delle materie prime non sono bassi come potrebbero essere, ma ormai stanno scendendo. Le esportazioni in Russia sono state sostanzialmente interrotte, ma le esportazioni italiane continuano a funzionare alla grande. I rifornimenti di gas dalla Russia sono stati notevolmente ridotti, ma il rifornimento di gas alle famiglie italiane non si è mai ridotto. E anche per quanto riguarda la quinta verità, la certezza cioè che la difesa della resistenza in Ucraina avrebbe rappresentato un costo politico insostenibile per i partiti più sensibili alla causa di Kyiv, si è rivelata, finora, una grande bufala.

 

E in realtà, tutti i paesi europei che nell’ultimo anno sono andati al voto hanno sistematicamente punito i partiti più diffidenti rispetto alla difesa di una democrazia in pericolo. In Estonia, domenica scorsa, ha vinto il Partito per la riforma della premier uscente Kaja Kallas, gran sostenitrice dell’Ucraina. In Lettonia, qualche mese fa, ha vinto il primo ministro uscente, Krisjanis Karins, sostenitore delle sanzioni alla Russia e del rafforzamento della Nato. A Cipro, paese sensibile all’influenza russa, a febbraio, alle elezioni presidenziali, si è affermato l’europeista Andreas Mavroyiannis, severo anch’egli con la Russia. Nel 2022, ad aprile, in Francia, ha vinto le presidenziali anche Emmanuel Macron, pur registrando un calo alle successive elezioni legislative, dove si sono affermati Mélenchon e Le Pen. In Svezia, a settembre, l’ultradestra è andata bene, ma non è riuscita a formare il governo ed è tornata alla guida del paese la premier uscente Magdalena Andersson, promotrice dell’ingresso nella Nato del suo paese. In Slovenia, il trumpiano Jansa è stato battuto dal liberale Robert Golob. In Danimarca, a novembre, sono stati i socialdemocratici a vincere le legislative. In Bulgaria, nel 2022, le elezioni sono state vinte dagli europeisti, ma i filorussi impediscono, con i loro numeri, la formazione di un governo e il 2 aprile si tornerà a votare.

 

I filorussi, finora, si sono affermati solo in due paesi in Europa, negli ultimi mesi: uno è la Bosnia Erzegovina e l’altro è l’Ungheria, dove il filorusso Viktor Orbán ha comunque votato a favore di tutti i pacchetti di sanzioni rivolti alla Russia. Il 5 aprile si voterà poi in Finlandia, nella Finlandia della divina Sanna Marin, uno dei simboli più forti della resistenza occidentale alla minaccia russa e che con la sua Finlandia ha fatto un passo deciso per avvicinarsi alla Nato, e a prescindere da come andranno le cose in quell’occasione si potrà dire che la grande Verità veicolata dai professionisti della zizzania, l’idea cioè che le democrazie non abbiano la forza e i voti per sostenere la resistenza di un paese democratico aggredito da un regime illiberale, era, come direbbe oggi Paolo Villaggio, simile alla visione della corazzata Potëmkin: una boiata pazzesca.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.