A Cutro vince Salvini. Cosa non torna nel decreto sui migranti

Luca Gambardella

Nulla cambia in tema di catena di comando. Gli errori che hanno portato alla morte di 72 persone nel naufragio di Cutro restano senza contromisure politiche e organizzative. Pene più severe per gli scafisti, ma difficili da applicare. Stretta alla protezione speciale. Intanto a Lampedusa sbarcano in 1.300

A Cutro vince la Lega e l'atteso compromesso fra pugno di ferro e regolarizzazione dei flussi dei migranti esce molto più attenuato dal caotico Consiglio dei ministri di ieri. Nella bozza pre Cdm, fatta circolare ieri mattina prima della riunione in Calabria, l'unica voce che lasciava presagire un intervento organico e innovativo era quella che potenziava il monitoraggio del mare e portava in capo alla Marina militare, e quindi alla Difesa, il coordinamento delle attività di salvataggio. Ma in serata, quella norma scompare dal testo finale approvato all'unanimità dal governo. Il ministro Matteo Salvini ne ottiene lo stralcio, lui che nel 2018 aveva ottenuto di accentrare le competenze per i soccorsi al ministero dell'Interno. Nulla cambia, quindi, in tema di catena di comando ed è paradossalmente questo l'elemento che passa dal Cdm di ieri e che più da vicino riguarda la strage di Cutro. Gli errori – e forse i reati, ma su questo verificheranno gli inquirenti – che hanno portato alla morte di 72 persone e a lasciare in mare altre decine di dispersi restano senza contromisure politiche e organizzative. La resa di Meloni sul punto è sintetizzata da una presunta richiesta esplicita, avanzata nel corso della giornata, dallo stesso ministro della Difesa, Guido Crosetto, che a dire della premier avrebbe spontaneamente fatto un passo indietro. Tutto, pur di ammansire l'ira di Salvini e dei suoi.

    
Ma oltre al tema dei salvataggi in mare resta ben poco. Del Consiglio dei ministri di Cutro si ricorderà l'unico “ritocco” indiretto alla contestatissima legge Bossi-Fini, il meno significativo. Cioè l'inasprimento ulteriore della pena per i famigerati scafisti, che rischiano ora fino a 30 anni di reclusione per chi sarà considerato responsabile di naufragi causando la morte di chi è a bordo. “Daremo la caccia a questi criminali in tutto il globo terraqueo”, è la promessa di Meloni che però si candida a restare simbolica, quasi quanto la targa in marmo lasciata a Cutro e voluta dal governo, con sopra scolpite le parole di condanna del Papa contro i trafficanti di esseri umani.

 

Al netto della risonanza mediatica, sono tante le problematiche su questo punto. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ieri in conferenza stampa ha detto che si crea un allargamento della giurisdizione italiana per contestare un reato commesso da uno straniero (lo scafista) contro altri stranieri (i migranti) in acque internazionali. Un reato cosiddetto “universale”, che però necessita che il “il barcone sia diretto verso le coste italiane”, ha specificato Nordio. Una condizione difficile da stabilire con certezza se si parla di un'imbarcazione in mare aperto. Ma tanto basta a deviare l'attenzione generale sulla caccia al colpevole. Nessun riferimento al fatto che gli scafisti – a cui si rivolge la norma – non coincidono mai con i trafficanti – a cui si rivolgeva invece il Papa: i primi sono la manovalanza, spesso suo malgrado, dei secondi, che restano impuniti in patria. A confermare che difficilmente gli scafisti, con le loro “parabole” (Rampelli dixit), seguano gli aggiornamenti del Codice penale italiano c'è il fatto che mentre Meloni era a Cutro, a Lampedusa sbarcavano 1.300 persone. Numeri che lasciano presagire il peggio per i mesi a venire. 

  
La vittoria della linea salviniana prende forma però soprattutto alla voce accoglienza. Se la grandissima parte di chi è morto sulla costa di Cutro erano persone in fuga da paesi come l'Afghanistan e l'Iran, il governo ha deciso di rispondere limitando ulteriormente la concessione della protezione speciale, quella che consente ai richiedenti asilo, che non avevano le caratteristiche per ottenere né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, di ottenere un permesso di soggiorno perché rischiavano di subire persecuzioni nel paese di origine per motivi di razza, di orientamento sessuale, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un gruppo sociale. “La sua fattispecie era stata allargata a dismisura: l'intento del governo è abolirla e sostituirla con una norma di buonsenso che corrisponda alla normativa europea di riferimento", ha detto ieri Meloni. Una misura che sembra dettata proprio dall'anima leghista del governo ed è proprio su questo punto che, con ogni probabilità, si è verificato quella che Salvini ha definito l'integrazione di alcuni aspetti dei decreti Sicurezza nel nuovo provvedimento di Cutro. 

  
La legge Bossi-Fini, vero nodo gordiano della politica migratoria italiana, rimane intonsa
. Al di là di un allargamento triennale del decreto flussi, finora aggiornato anno per anno, resta poco. Si afferma la “linea Rampelli”, quella fatta di migranti “che hanno le parabole” e che quindi possono essere dissuasi dai loro rispettivi stati di partenza sulla pericolosità dei “viaggi illegali” verso l'Italia. E quindi, nel testo del decreto si prevede la concessione del permesso per chi abbia conseguito in patria un diploma di formazione organizzato dal nostro ministero del Lavoro, ma solo se le autorità dello stato di partenza si siano impegnate in campagne mediatiche per dissuadere i migranti dal partire verso l'Italia. 

   
Al capitolo rimpatri, il governo – come annunciato – decide per velocizzare le pratiche “per lo svolgimento delle procedure” autorizzando nuove deroghe al capitolato degli appalti. Un modo per costruire più centri di rimpatrio più velocemente ma con meno controlli a livello amministrativo. 

   
Spicca infine, nel decreto, un riferimento alla lotta alle agromafie. Il testo prevede l'assegnazione del ruolo di agenti o di ufficiali di polizia al personale del dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari. Si tratta dell'organo di controllo del ministero dell'Agricoltura che fino a oggi si occupava di reprimere le frodi relative ai prodotti agroalimentari e ai mezzi tecnici usati in agricoltura. Sorge il dubbio di come si articoleranno le competenze di un organo che fino a ieri si occupava di controllare mangimi, sementi, fertilizzanti e prodotti fitosanitari e che, secondo il decreto, dovrebbe essere in prima linea contro il caporalato.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.