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la cronaca dell'inviato

La conferenza stampa di Meloni da Cutro diventa un rave. E Salvini gongola

Simone Canettieri

Botta e risposta tra i giornalisti e la premier. Annuncia che inviterà le famiglie delle vittime a Palazzo Chigi, ma annaspa nel ricostruire la dinamica del naufragio. Alla fine nel decreto passa la linea del leader della Lega (compresa la norma anti-Soumahoro)

Cutro, dal nostro inviato. Visto che c’era anche Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno avrebbe potuto applicare il decreto anti rave. Perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni (con cinque ministri più il sottosegretario Alfredo Mantovano) si è trasformata in una baraonda. Con la premier bersagliata dalle domande dei cronisti calabresi in un sali e scendi di accuse, giustificazioni, urla, botta e risposta, occhi spalancati, commozione. Scene mai viste. Con la segretaria particolare della premier, Patrizia Scurti, che urla al neo capo ufficio stampa Mario Sechi: “Mario, ferma i giornalisti!”. Salta tutto, qui nel chiostro del comune di Cutro, novemila anime, blindato all’inverosimile, con i negozi chiusi per ordinanza prefettizia. “L’ultima volta che abbiamo visto tutte queste sirene è stata quando hanno arrestato i boss in un’operazione della ’ndrangheta, ma non erano così tante”, racconta Giuseppina, residente con finestra in prima fila davanti al municipio.

A dodici giorni dalla strage dei migranti, con 72 morti, Meloni scende fin qui per un Consiglio straordinario. Non va sulla spiaggia di Cutro, non si presenta a Crotone a omaggiare le vittime. “Inviteremo le famiglie a Palazzo Chigi”, fanno sapere dal governo quando questo “Processo del Lunedì” di biscardiana memoria termina. Prima di chiudere la conferenza stampa, tutti chiedono a Meloni infatti perché non sia andata a Crotone, al palazzetto, dove sono messe in ordine le bare. “Io ci andrei – dice la premier provata – ho finito adesso”. Notizia: ha vinto Matteo Salvini. 

 

Il leader della Lega festeggia il suo cinquantesimo compleanno ottenendo lo stralcio della norma circolata in mattinata. Quella che prevedeva la sorveglianza marittima sotto l’egida del ministero della Difesa di Guido Crosetto (FdI) togliendola alla Guardia costiera che risponde al salviniano ministero delle Infrastrutture. La norma voluta dal sottosegretario Alfredo Mantovano frulla dalla finestra sotto la pressione del capo del Carroccio che minaccia di non partecipare al Cdm. E così viene accontentato. In più, tra le more del decreto immigrazione, Salvini rivendica: l’introduzione di nuove regole sui permessi di soggiorno, rafforzamento dei Centri di rimpatrio, inasprimento delle pene e norme anti-Soumahoro per le coop che fanno affari poco chiari sui migranti. Il vicepremier leghista è attraversato da un friccico costante durante la conferenza stampa. Interviene in maniera chirurgica per chiosare tutti i provvedimenti e alla fine a lui spetta l’ultima parola per dire: “Nel 2019 ci fu il minor numero di morti in mare: le coincidenze in politica non esistono”. Ovviamente nel 2019 il ministro dell’Interno era lui.

A Meloni spetta un ruolo, mal gestito da chi la consiglia. Quello cioè di illustrare i provvedimenti. “Aumenteranno le pene fino ai trenta anni: vogliamo combattere in tutto in globo terracqueo i trafficanti di morte. Romperemo la tratta, sono previsti fino a 30 anni di carcere per i trafficanti. Applicheremo queste leggi anche fuori dalle acque territoriali”.

A questa conferenza stampa partecipano Carlo Nordio (Giustizia), Antonio Tajani (Esteri), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Matteo Piantendosi (Interno). Il resto della delegazione governativa riprende intanto con un altro aereo  la rotta verso Roma. Meloni annaspa quando deve illustrare la dinamica della tragedia dello scorso 26 febbraio. “Qualcuno deve correggere i titoli”, dice riferendosi ai giornali. E inizia il teatrino abbastanza surreale con la premier che litiga, risponde, fa smorfie ai giornalisti. “Qualcuno vuole dire che il governo ha fatto morire oltre settanta persone?”. Con molta calma le viene spiegato che il problema semmai sarebbe la catena di comando e perché la Guardia di Finanza tornò indietro senza lanciare l’allarme davanti a una nave in panne con il mare tormentato. La premier sbaglia la ricostruzione, fa confusione sull’intervento di Frontex. Viene ripresa dai cronisti locali. Sechi: “Basta, non è un dibattito”. Momento Biscardi. In questo rave si perdono tutte le coordinate. Salvini gongola. Fa i discorsi che tutti si aspettano e lascia la premier nei marosi di questo caos. Cattiveria: “Il premier oggi sembra Matteo e lei la vice”, dicono un po’ tutti qui. E in effetti Meloni annaspa. Il decreto è nel solco delle leggi di Salvini, anche lei lo ammette. Piantedosi sfuma, il suo ruolo è secondario. Una giornata non proprio da incorniciare: la premier è stata accolta qui a Cutro dai manifestanti che le lanciavano peluche contro l’auto. Questo è un paesone dimenticato e stanco. Come la Calabria. Meglio annunciare e andarsene. Come fanno tutti.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.