Due nessuno e centomila

Giorgetti o Pirandello, si inventa una carica che adesso non vuole ricoprire più nessuno

Carmelo Caruso

La sua riforma per spacchetare il Mef potrebbe passare per dpcm (il Qurinale non si metterebbe contro) ma Turicchi non vuole ricoprire un incarico dimezzato. Si fa il nome di Marcello Sala come direttore generale per le partecipate

Questa è la trama di “Due, nessuno e centomila”. L’autore è Giancarlo Giorgetti, il Luigi Pirandello di Varese. Era fine  gennaio. Giorgia Meloni gli chiede di sostituire il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, con Antonino Turicchi, presidente di Ita. Lui, Giorgetti, il premio Nobel della pace (la sua) risponde: “Va bene, monna Giorgia, tu sei domina. Ma cosa ne dici se sdoppiamo la funzione di direttore? Sai, un direttore generale del Tesoro è stressato. Lavora tanto. Ricordi il Maxibon? Due è sempre meglio di uno. Se permetti  un direttore  lo nomino io e poi ovviamente tu, con la tua sapienza….”. E infatti, Giorgetti nomina al posto di Rivera nientemeno che Riccardo Barbieri Hermitte con la h, aspiratela bene, come l’ultima sigaretta. Avete aspirato la h?  Cosa accade in queste settimane?


Turicchi piuttosto che lasciare Ita si lega alla sedia anche perché dice agli amici: “Ma se c’è già un direttore, a che serve un altro?”. Giorgetti: “Se proprio non vuole venire nessuno… nomi ne abbiamo”. L’ultimo che circola al Mef è quello di Marcello Sala, vicepresidente del Consiglio di gestione di Banca Intesa. E’ amico di “Giancarlo Pirandello”, uno che tra il vino bianco e il vino rosso dice al cameriere: “Sa, io preferirei il rosé”. Per togliersi dagli impicci, e per tenere Meloni e cavoli, propone una riforma del Tesoro che raddoppia le cariche di direttore generale. Se la riforma passa ne avremo due: uno che si occupa della parte internazionale e un altro che si occupa di società partecipate. Un direttore generale guadagna 240 mila euro. Due sono 480 mila euro. Due direttori per fare il lavoro che prima evadeva solo uno. Ma questo sarebbe populismo come quello del governo gialloverde (dove sedeva pure Giorgetti). Secondo il ministro dell’Economia, lo sdoppiamento (è un appassionato del genere; Salvini, che ci mette la faccia, si prende gli insulti, e lui le lodi: “Ma che testa, ma quanto è prudente”. Manca solo il santino in auto: “Guida con prudenza. Giorgetti veglia su di te”) serve a rendere più efficiente il ministero.

 

Peccato che in Europa la pensino al contrario. Se l’Italia, in economia, è monogama ci sarà una ragione. Fino al 2001 esistevano il ministero del Tesoro e quello delle Finanze. A Bruxelles ricordano ancora quando i due direttori, quello delle Finanze e quello del Tesoro, facevano staffetta: “Entri tu o entro io?”. La figura del direttore generale del Tesoro di ciascun paese è una figura riconoscibile. Tutti siedono all’Euro Working Group, preparano le riunioni dell’Ecofin. L’intenzione di Meloni, si ripete, era avere un direttore generale di fiducia. Ma se questo uomo di fiducia non c’è a cosa è servito cacciare Rivera? Nei capitoli precedenti, qualche settimana fa, il Foglio ha pure  raccontato che la riforma, lo sdoppiamento, è complessa in termini giuridici. E come farla soprattutto? Disegno di legge? Iter lunghissimo. Dpcm? Serve il parere del Consiglio di stato e Corte dei conti. Gli uomini vicini a Meloni dicono a Meloni: “Guarda che ormai è finita. Kaputt. Le nomine le fa Barbieri. La riforma arriverà dopo le nomine”. Giorgetti la cui sostanza naturale è l’acqua del lago (di Varese), ma anche la panna montata, chiede ai suoi tecnici di accelerare. I soliti giornali cominciano a deriderlo come faceva la moglie di Gengé in “Uno e nessuno e centomila”: “Ma lo sai che la tua riforma pende un po’?”. Non solo. Sulla riforma ci sono gli occhi puntati del Quirinale. In un primo momento sembra che il Quirinale non veda bene questo sdoppiamento attraverso dpcm. Ora, a quanto pare, e sarebbe notizia di queste ore, le perplessità sul dpcm sarebbero cadute, così come sarebbe però caduta la candidatura naturale di Turicchi. Inoltre, che direttore è un direttore che può occuparsi solo di partecipate e un altro che è direttore ma che non può occuparsi di partecipate? Se lo stanno chiedendo, ancora, i migliori candidati possibili per quell’incarico e si sono dati questa risposta singolare che deve tanto piacere a “Giancarlo Pirandello”: “Il direttore generale sarà un direttore dimidiato. Pirandello, salvaci tu”. Dimidiato significa “parziale”; “ridotto a metà”.

 

Da questo Kaos ecco che esce il nome di Marcello Sala, un allievo di Giuseppe Guzzetti e vicino alla Lega. Siamo arrivati all’epilogo. Tutto è iniziato per una questione di naso, quello non gradito di Rivera (troppo francese). Oggi Turicchi non vuole andare al Mef, Meloni ha perso l’attimo, Giorgetti “e io che posso farci se Turicchi non vuole venire?”. In Europa si spartiscono le cariche della Bei (dicono che in pole, per la presidenza, ci sia Vestager). In Italia non si riescono neppure “a tagliare le teste”. Per sostituirne una si finisce per generare un calamaro. E un nuovo romanzo. Due nessuno e centomila (Meloni editore).

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio