Stefano Zecchi (LaPresse)

l'intervista

“Il mio conservatorismo tra Cavour e Junger”: parla Zecchi, candidato in Lombardia con FdI

Gabriele De Campis

Il battesimo nell’agone politico risale al 2000, quando si candidò a Venezia con Brunetta, poi l’esperienza da assessore alla Cultura a Milano. Ora ci prova alle regionali. “Ho fatto i santini con lo slogan: Per la bellezza”. Alla Meloni consiglia due letture: “Ippia maggiore” di Platone e “Cuore” di De Amicis

Da una lato ci sono le fascinazioni conservatrici del conte Camillo Benso di Cavour e dall’altro le tempeste d’acciaio di Ernst Junger: sono queste le due polarità che hanno spinto Stefano Zecchi, professore di Estetica all’Università di Milano, a lanciare la sfida per conquistare un seggio al Pirellone. “Mi candido nelle liste di Fratelli d’Italia”, spiega al Foglio.

“Ho sempre guardato con un certo fastidio gli intellettuali che predicano bene e non si mettono mai alla prova”, aggiunge divertito. “Il coinvolgimento nell’agone elettorale è in linea con i miei studi, sempre all'interno di una visione concreta e reale”. Il filosofo veneziano è stato già consigliere comunale nella città di San Marco e anche assessore meneghino. “Sul piano politico non ho mai voluto impegni parlamentari romani: sono e resto un insegnante, il lavoro che mi piace di più. Accetto una mediazione impegnandomi all’interno di un contesto che mi consenta ancora la docenza”.

Pur vittoriosa alle elezioni, la destra di Giorgia Meloni non ha ancora sfondato nel mondo della cultura. Zecchi però è un fan del premier della Garbatella, “perché un partito conservatore può normalizzare dopo 78 anni la vita politica italiana. In tutta Europa si confrontano conservatori e socialdemocratici. Per paradosso, da noi manca proprio un soggetto socialista…”. E qui cita Augusto Del Noce: “Il pensatore di Pistoia - gigioneggia - avrebbe considerato il fallimento del Pd una necessità filosofica, per la conflittualità contenutistica della connessione tra dossettiani e azionisti”.

Il conservatorismo meloniano (ereditato da Raffaele Fitto, pioniere in Ue dell'adesione al raggruppamento Tory dopo la rottura con il Cav) però per Zecchi ha una declinazione mitologica: "Non sono mica un guardiano che celebra le ceneri del passato, ma penso al futuro con i piedi ben radicati nella tradizione, come la Fenice che vola verso il futuro. Penso a un conservatorismo creativo, con Cavour o Spaventa, fucina di grandi visioni…  L’orizzonte è quello della rivoluzione conservatrice”.

La passione per la politica militante, però, non è iniziata a destra: “Su invito del liberal-socialista Renato Brunetta mi candidai nel 2000 a Venezia, ma lui non divenne sindaco. Poi non sono mai stato estraneo al mondo giovanile della politica. Sono un sessantottino, non di convinzione, ma di età. Quei fermenti li ho vissuti di persona. Non a caso mi chiamano molti ragazzi dei licei per tenere lezioni durante le autogestioni”. “Il mio incontro con la destra? Attraverso Ernst Junger”, racconta ancora Zecchi.

“Certo, sul piano degli studi sono partito da Husserl e dalla critica al marxismo di Ernst Bloch, sono entrato in contatto con i suoi allievi arrestati, a Lipsia nella Germania orientale. Da qui sono arrivato alle riflessioni di Oswald Spengler. Un lungo studio che mi ha portato a scrivere l’introduzione al Tramonto dell’occidente, e Cavalcare la tigre di Julius Evola. La mia bussola però è Johann Wolfgang Goethe: il suo Faust mi ha illuminato sul problema della tecnica…”.

Nel 1994 diede vita alla corrente del “mitomodernismo” con Giuseppe Conte, tra convegni e incontri nei teatri: “Il fulcro era la bellezza vivente, non solo con pulsioni al progetto, per trasformarla in chiave risolutiva e reattiva, contro il nichilismo, malattia spirituale del nostro tempo. Il mitomodernismo aveva una grande proposta di realismo”.

Nella sezione di Colle Oppio, dove è cresciuta Giorgia Meloni, circolava un saggio di Zecchi del 1993. “Si riferisce a Sillabario del nuovo millennio. Quasi preveggente? Riflettevo su 'amore', 'guerra', 'Dio', cardini del nostro tempo. Ora lo ripubblico con scritti di Gennaio Sangiuliano e Antonio Rapisarda per Signs Books”.

 

Al tempo dei social, cosa portano alla politica i filosofi? “Oggi la vera scommessa culturale è la relazione tra la tecnologia e la nostra tradizione umanistica. Considerare, con una errata lettura heideggeriana, il mondo della tecnica come un mostro che insidia le nostre esistenze è un errore. Bisogna intendere lo sviluppo del tempo come 'Kronos' in movimento. Dall’Eutanasia al controllo demografico, alla sfera dell’ingegneria genetica, richiede un profondo pensiero umanistico. Dice Heidegger: 'L’uomo ha fatto qualcosa di buono quando aveva una tradizione e un focolare'. Provocatoriamente dico che questa terra non va salvata ma abbandonata. Il destino dell’uomo è tra le stelle”.

 

A Milano la destra è rappresentata soprattutto da Daniela Santanché e Ignazio La Russa: “Il presidente del Senato l’ho conosciuto quando l’assessore regionale Marzio Tremaglia mi chiese di collaborare con lui. Con Marzio volevamo realizzare una capanna della Cultura”.

Gennaro Sangiuliano le ha fatto un “in bocca al lupo”?: “Sì, siamo molto amici. Abbiamo lo stesso agente letterario. Ci siamo sentiti sulla querelle su Dante di destra”. Che farà se eletto? “Nessuno mi ha chiesto di candidarmi, ma ho capito che la mia scelta sarebbe stata apprezzata. E questo mi ha dato entusiasmo e una certa soddisfazione. Non so se conquisterò il seggio, ci vogliono un sacco di preferenze. Resto a disposizione con le mie visioni. Di fronte alla Meloni non c’è una opposizione ma una galassia anarchica extraparlamentare: ci sono i verdi, i gay, i pro eutanasia… Nessuna soluzione o progetto culturale, solo il contingente”.

Consiglierebbe un libro alla Meloni? “Il vero scarto della politica è tra chi la fa per passione e chi la fa per interesse. A Giorgia indicherei due volumi: Ippia maggiore di Platone, dove si spiega che la politica è la più bella del mondo perché può fare del bene alla gente, e poi Cuore di De Amicis, perché fa emergere la passione per la verità del bene”. Professore, il 12 e 13 febbraio si vota. Ha fatto i santini elettorali? “Eccoli qui. Ho scelto come slogan tre parole: Per la bellezza”.