Corridoio Meloni

Il Giavazzi di Meloni ora è Pugnalin. Al Mef Turicchi al posto di Rivera

Carmelo Caruso

Indecisioni e ruoli poco chiari a Palazzo Chigi. La premier pronta a intregrare la squadra. In Cdm oggi si decide il futuro del direttore generale del Mef. Giorgetti potrebbe sparigliare e proporre lo spacchettamento dell'incarico

Ogni potere ha una sua camera e un’anticamera. Giorgia Meloni è sicura che la sua “anticamera” sia sufficiente e affiatata? Esiste una sostanza che serve ai governi quanto il consenso. E’ la complicità. Nell’anticamera del governo Meloni la “complicità” si è creata? Se si chiede oggi a Palazzo Chigi dove sia la stanza di Gaetano Caputi, capo di gabinetto della Meloni, si riceve questa risposta: “Non saprei dirle”. Può un capo di gabinetto di un premier essere riconosciuto  se nessuno sa dove si trovi il suo ufficio? Il governo potrebbe oggi sostituire il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, con Antonino Turicchi o tenere Rivera e prendere anche Turicchi spacchettando in due l’incarico, ma l’ingresso che modificherà “l’anticamera del potere” è un altro. E’ quello di Riccardo Pugnalin. E’ destinato a ereditare  il ruolo che Francesco Giavazzi aveva con Draghi.


Non è solo filosofia. Nel “Dialogo sul potere” di Carl Schmitt (Adelphi) il giurista tedesco scriveva che “davanti a ogni camera del potere diretto si forma un’anticamera di influssi e poteri indiretti, un accesso all’orecchio del potente un corridoio verso la sua anima”. Nell’anticamera della Meloni manca oggi uno stratega, “un uomo di mano”, manca una separazione chiara dei ruoli che possa favorire il lavoro di governo. Era una funzione che con Draghi e Gentiloni assolveva Antonio Funiciello mentre nel governo Berlusconi, Gianni Letta.

 

Sono uomini che risolvono problemi anche in maniera ruvida, che si caricano colpe, che trattano con modi spicci nomine, guasti nelle commissioni parlamentari, che sanno invertire un racconto. Sono figure, racconta un dirigente dello stato, “che fanno la fortuna del potere. Un po’ padri confessori, medici personali, diplomatici, mezzi Rasputin e mezzi Bismarck. Sono gli antidirettori dei giornali. Sul Mes, ad esempio, avrebbero offerto la lettura che il Meccanismo è stato modificato e dunque è un successo ratificarlo”.

 

Se Rivera sarà sollevato dall’incarico di direttore generale del Tesoro, il governo deve essere nelle condizioni di difendersi da chi, e sarà inevitabile, ricorderà che Turicchi, il sostituto, faceva parte del cda di Mps (dossier che viene a rimproverato a Rivera). Meloni può oggi contare sulla sapienza giuridica di Alfredo Mantovano che però ricopre la carica che era stata di Roberto Garofoli. L’altro sottosegretario è Giovanbattista Fazzolari, l’uomo di pensiero di FdI. Il capo di gabinetto della Meloni è Caputi che ha un rapporto solido con Fazzolari e con la premier, ma al momento la sua ubicazione non è chiara “forse al secondo piano o in altana”. Non è un problema di spazi ma di simboli.

 

La Pubblica amministrazione misura il potere secondo i metri quadrati e la vicinanza al leader. Quanto è distante Caputi da Meloni? Quanto lo è da Carlo Deodato, il segretario generale di Palazzo Chigi? Non è un rimprovero, ma non c’è governo che non misuri la propria felicità dalla complicità interna, dalla capacità di diventare una “falange sorridente”.

 

A Palazzo Chigi si dice che due sono oggi le grandi “centrali”. Una è formata da Deodato-Mantovano-Francesca Quadri (capo del Dagl) perché è inevitabile l’affinità. Deodato e Mantovano sono legati da un’amicizia antica e Quadri è stata la vice di Deodato. L’altra centrale è quella che fa capo a Fazzolari e Caputi. La sfida della Meloni è cercare di fonderle in una sola. La complicità è qualcosa che la premier conosce e che appartiene alla sua storia di partito, alla sua comunità. Dice una personalità di centrodestra che “Meloni deve adesso costituire un nucleo di comando e liberarsi da quel sentimento di minorità, di esclusione”.

 

Ecco perché in quel nucleo di comando sta per entrare il direttore degli Affari esterni di Vodafone, Riccardo Pugnalin. Sarà incardinato ufficialmente nello staff della premier come consigliere e potrebbe svolgere quel ruolo che è stato in passato di Letta e Funiciello e assorbire quello di Giavazzi. Sarà infatti il collegamento con il Mef di Giancarlo Giorgetti (si conoscono da tempo) e diventerà protagonista di qualcosa che molto presto non potrà che essere assemblata: una cabina di regia per gestire le nomine. E’ un dossier che impensierisce Meloni tanto da dire: “Non ci saranno uomini da piazzare ma società da salvare”. Preoccupa infatti la sofferenza di Enel, una sofferenza importante e che richiede un grande manager internazionale. Il nome verrà selezionato in quello spazio che Schmitt chiamava “Antichambre” “perché quanto più il potere si concentra in un determinato uomo tanto più si acuisce il problema del corridoio”. Il tempo di Giorgia Meloni si annuncia lungo, ma in politica il tempo è anche lo spazio. Qual è lo “spazio” della premier, qual è il “corridoio”?

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio