Foto di Riccardo Antimiani, via Ansa 

l'intervista 

La lezione di Benedetto XVI a chi governa. Parla Mantovano, braccio destro di Meloni

Gabriele De Campis

“Ratzinger richiamò l’Europa alla difesa dell’occidente, intesa come consapevolezza di sé”. L'insegnamento del Papa emerito in tre parole: umiltà, cristianesimo, occidente

“Tanti, anche fra i cattolici, hanno osteggiato Papa Benedetto finché era in vita. Hanno avanzato su di lui sospetti infamanti e illazioni calunniose. Lo hanno dipinto come un reazionario, con le finestre chiuse e gli impianti anti intrusione perennemente attivati. Mi auguro che il rammarico che tanti di loro hanno espresso per la sua scomparsa sia l’avvio della effettiva riscoperta del suo pontificato e delle sue opere”. La malinconia che si irradia dai funerali in Vaticano diventa, con le parole di Alfredo Mantovano, la scintilla di una riflessione, a tratti spirituale, a tratti intima ma eminentemente politica, sull’eredità del pontificato di Ratzinger.

“La sua grandezza è stata pari alla sua umiltà”, dice infatti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. “In un’epoca di banalizzazione e di riduzione a slogan, egli ha testimoniato come semplicità e grandezza non siano in antitesi, ma anzi si tengano reciprocamente, perché entrambe riflessi di Dio. E questo insegna tanto a chi lavora nelle istituzioni”. Se per Giorgia Meloni, Benedetto XVI “ha parlato, e continuerà a parlare, al cuore e alla mente degli uomini con la profondità spirituale, culturale e intellettuale del suo Magistero”, per Alfredo Mantovano, che in questi anni ha applicato la sua sensibilità conservatrice scrivendo diversi saggi e articoli di giornale, B-XVI era un punto di riferimento intellettuale.

Quando avvenne il primo incontro con Ratzinger? “Avvenne  nell’ottobre 2004 in casa di un comune amico. Sollecitato sul suo futuro, l’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede confidò che, superati i 75 anni – all’epoca ne aveva 77 – aveva presentato al Papa le dimissioni, e auspicava che fossero accolte presto. Desiderava infatti tornare nell’amata Bressanone per dedicarsi in modo più intenso a quegli studi che in realtà non aveva mai lasciato. Sei mesi dopo il Conclave lo proclamava Romano Pontefice, e lui, che pure aveva espresso con sincerità l’aspirazione al riposo operoso, non si sottrasse a prendere sulle spalle quella che sarebbe stata una Croce più che una stola; ha così incarnato il brano evangelico del servitore che, rientrato dal lavoro nei campi, non si ferma, ma si cambia di abito e porta a tavola le vivande per il suo Signore”.  

E insomma Benedetto XVI, dice Alfredo Mantovano, aveva una nitida “missione celeste”. Su quali cardini si muoveva? “Nel rendere chiaro e indissolubile il legame fra la ragione e la fede. Portando la prima fino al limite in cui c’è spazio solo per la seconda”. 

Fede e ragione, dunque, dice Alfredo Mantovano. “In realtà, come confermano le parole che ha pronunciato prima di volare in cielo, per lui il ragionamento più stringente e logico non era mai fine a se stesso: costituiva invece lo strumento per arrivare a quel Cristo a cui ha poi confermato la dichiarazione di amore sul letto di morte”.

Da Ratisbona a Istanbul nella Moschea blu. La storia ha confermato la lucidità della previsione ratzingeriana sui rischi connessi al dissociare fede e ragione: “Ratisbona – chiarisce Mantovano – è il crocevia di una riflessione alta sull’identità europea, e di come il magistero di un Papa sia manipolabile fino a svilirlo. Quella lezione andrebbe ripresa, finalmente letta, e magari riletta e approfondita: si scoprirebbe che, invece di costituire un attacco all’islam, come è stata presentata, rappresenta lo sforzo per trovare una base comune di interlocuzione con i musulmani, per lo meno con coloro che sono a ciò disponibili. Quella base non è la spada – come sottolinea l’imperatore Manuele Paleologo, richiamato da Benedetto XVI – ma la ragione”. 

Con l’islam, nonostante le polemiche strumentali, il pontefice tedesco cercò sempre un dialogo senza i complessi di inferiorità, diffusi in occidente. “Ai funerali – prosegue nella riflessione – erano presenti non pochi musulmani, e in giro per il mondo tanti fedeli dell’islam hanno espresso dolore per la scomparsa di Joseph Ratzinger: non è un caso. Egli ha fissato i cardini di una interlocuzione rispettosa: non il cedimento e ancora di meno la sottomissione, ma la ricerca di quel che fra uomini rende eguali in dignità”. Nella lotta contro la secolarizzazione dell’Europa emerge il filo rosso che lo lega a Papa Giovanni Paolo II? “La continuità è nella medesima figura di Joseph Ratzinger. Nelle ricostruzioni di questi giorni si è dato uno spazio, a mio avviso limitato, all’enorme lavoro che egli ha svolto per un quarto abbondante di secolo a fianco di San Giovanni Paolo II quale prefetto per la Congregazione della dottrina della fede. La gigantesca opera del Papa polacco, di richiamo dell’Europa alla sua identità, si è realizzata anche grazie alla costruzione intellettuale e alla elaborazione del suo più stretto collaboratore”.

Come si declinava la difesa dell’occidente per Ratzinger? “Non in termini di arroccamento o di protezione da uno o più nemici esterni, ma di riscoperta di ciò che si è; e quindi della riscoperta della capacità che l’occidente ha mostrato nel corso dei millenni, partendo dalla filosofia greca, proseguendo con la sua trasposizione nel diritto romano, e inverandosi nella civiltà cristiana  medievale, di dare risposta alle domande essenziali dell’uomo. Perché anche agnostici o atei hanno coltivato il dialogo con lui, fino a quando le sue condizioni fisiche lo hanno consentito? Perché sono stati affascinati dalla sua capacità di affrontare le sfide del presente e gli interrogativi in apparenza insolubili. La difesa dell’occidente è anzitutto recupero della consapevolezza del destino dell’uomo”.

“L’economia ha bisogno dell’etica”, scriveva Papa Benedetto: la Caritas in veritate resta un sentiero da percorrere con ancora maggiore intensità per umanizzare l’esistenza rispetto agli eccessi del nostro tempo? “Quella enciclica non è soltanto una riflessione sul legame fra etica ed economia, ma prima ancora il richiamo a fondare sull’adesione al vero ogni apertura verso l’altro, e quindi – per esempio – ad abbandonare prospettive pseudosolidaristiche che in realtà hanno poco di caritatevole, quando si traducono nel mantenimento della povertà e non nell’aiuto a uscirne. Dilatando lo sguardo, la prospettiva da lui tracciata è più attuale oggi rispetto a dieci o quindici anni fa, perché oggi i fenomeni di sfruttamento del lavoro e di liberismo selvaggio, allora incipienti, si sono estesi, e sembrano trovare quale alternativa obbligata una rinnovata statalizzazione. E infatti ci ha insegnato anche questo: il bisogno di etica nell’economia è un richiamo alla responsabilità di tutti”, conclude Mantovano.