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l'analisi

Sinistra a tutta manetta sulla giustizia

Claudio Cerasa

Il Pd si allinea al M5s contro l’agenda Nordio, Rep. sembra il Fatto, la sinistra regala il garantismo alla destra e non s’accorge delle sberle del Guardasigilli ai finti liberali della destra. Indagine su un cortocircuito

I formidabili schiaffi rivolti negli ultimi due giorni dal ministro della Giustizia Carlo Nordio al partito unico del giustizialismo chiodato hanno contribuito a mostrare con chiarezza due preoccupanti volti dell’illiberalismo italiano. Il primo volto, molto minaccioso, è quello che emerge con preoccupazione all’interno del mondo del centrosinistra, dove il manifesto ultragarantista di Nordio ha prodotto un riallineamento degli astri manettari. Tutti d’accordo. Da Repubblica al Fatto quotidiano. Dal M5s al Pd. Tutti concordi: quello di Nordio non è un inno al garantismo, non è un tentativo di perimetrare l’attività del pubblico ministero fissando sul terreno di gioco alcuni paletti necessari per rendere l’attività di indagine meno discrezionale, ma altro  non è che un violento attacco contro i magistrati, altro non è che un inno all’impunità, altro non è che una mossa, come ha scritto Repubblica, alla Nerone, utile semplicemente a fare terra bruciata contro i magistrati italiani e, come detto ieri a Repubblica dal capo dell’Anm, a violentare la nostra amata Costituzione.

Si potrebbe ricordare, con un sorriso smarrito, che ad aver chiesto alla politica di aiutare la magistratura a “garantire l’equilibrio delle decisioni”, a “conoscere i limiti della propria funzione” a non cedere “alla tentazione dell’autocelebrazione e della ricerca assoluta del consenso” nell’attività giudiziaria, a spingere i magistrati a recuperare “il principio di imparzialità” anche “attraverso il rifiuto del protagonismo e dell’individualismo giudiziario”, a coltivare maggiormente “la riservatezza nei riguardi dei processi o delle materie di cui ci si occupa” per non correre il rischio “di apparire di parte o pregiudizialmente orientati, forzando i dati della realtà” è stato, giusto pochi mesi fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non Silvio Berlusconi o Licio Gelli. E si potrebbe ricordare che tutelare i princìpi sottolineati anche dal capo dello stato, e non solo da Nordio, significa non lavorare per difendere l’impunità ma difendere la nostra Costituzione. La quale prescrive all’articolo 27 che l’imputato non deve essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva, la quale prevede all’articolo 111  che ogni processo si debba svolgere nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, di fronte a un giudice terzo e imparziale, all’interno di un percorso che garantisce alla persona accusata di un reato di essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico e di avere diritto a una durata ragionevole del processo. E la quale prevede all’articolo 112 che l’obbligatorietà dell’azione penale sia volta a garantire sia l’indipendenza del pubblico ministero, quale organo appartenente alla magistratura, sia l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e non il suo opposto. Si potrebbe ricordare tutto questo, ovvio, ma per capire la gravità della scelta del centrosinistra italiano, e la sua scelta di regalare il garantismo alla destra, è sufficiente mettere in fila quanto detto da Nordio negli ultimi giorni. Si può negare, come ha detto Nordio, che le criticità della giustizia italiana facciano perdere ogni anno all’Italia investimenti pari a quasi il due per cento del pil? Si può negare, come ha ripetuto ieri il ministro in Commissione, che in Italia la presunzione di innocenza, principio difeso dalla Costituzione ma non difeso da coloro che dovendo scegliere se difendere la repubblica dei pm o la Carta costituzionale scelgono regolarmente di difendere la prima al posto della seconda, sia minacciata da un uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni, dalla loro oculata selezione con la diffusione pilotata dei magistrati, da un’azione penale diventata arbitraria e quasi capricciosa, da un’adozione della custodia cautelare come strumento di pressione investigativa, da uno snaturamento dell’informazione di garanzia diventata condanna mediatica anticipata e persino strumento di estromissione degli avversari politici?  

Si può negare, poi, che le stesse intercettazioni siano state usate, in questi anni, dal circo mediatico giudiziario non come un mezzo di ricerca della prova ma come uno strumento di prova, che come tale è assai fragile e che come tale si dissolve davanti al contraddittorio dibattimentale? Si può negare, sempre a proposito di intercettazioni, che il loro abuso costituisce un pericolo per la riservatezza e l’onore delle persone coinvolte, spesso nemmeno indagate, e che la loro larga diffusione, talvolta selezionata e pilotata, costituisce uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica, che vìola l’articolo 15 della Costituzione, che fissa la regola della segretezza delle comunicazioni? E si può negare, infine, che in Italia i magistrati, che da magistrato Nordio conosce bene, esercitino il potere con assoluta discrezionalità, senza reale responsabilità, e usino ogni tanto le proprie iniziative giudiziarie come pezze d’appoggio utili a alimentare le proprie ambizioni di carriera?

Più che discutere di come liberarsi dal neoliberismo, dal veltronismo e dal renzismo, il Pd, se davvero ha intenzione di mantenere il suo profilo anti populista, dovrebbe discutere di questo, dovrebbe discutere di come provare a liberarsi dal giustizialismo e dal cappio della repubblica fondata sui pm e dovrebbe chiedersi perché sarebbe una scelta di sinistra, oggi, una scelta a favore della libertà, chiudere gli occhi di fronte al j’accuse fatto da Nordio ieri, secondo cui la figura del pm italiano sia l’unica al mondo che esercita un forte potere senza alcuna responsabilità.

La relazione di Nordio, dunque, ha messo in rilievo il preoccupante illiberalismo di ritorno della sinistra italiana sulla giustizia, nessun esponente del Pd in queste ore ha trovato il coraggio di non farsi dettare la linea dalla Travaglio Associati, oggi ammanettata anche con la Repubblica di Maurizio Molinari e Carlo Bonini, ma ha messo in luce anche l’incredibile ipocrisia del centrodestra, che negli ultimi due giorni ha dedicato ovazioni a un ministro, Nordio, che ha denunciato anche alcune forme di pericoloso illiberalismo anche della sua parte politica. Il ministro della Giustizia lo ha fatto quando ha affrontato il capitolo della certezza della pena, quando ha detto, parlando a nome del governo, di ritenere che “la reclusione sia necessaria per i reati di grave allarme sociale, e comunque quando la libertà del reo può suscitare un pericolo per l’incolumità pubblica e privata”, mentre “per quanto riguarda i reati minori, la moderna criminologia ci ammonisce che sotto l’aspetto afflittivo, preventivo e rieducativo esistono sanzioni assai più efficaci di una detenzione puramente virtuale”. E lo ha fatto poi quando, parlando di “concussione per induzione” e “traffico di influenze illecite”, ha denunciato la pericolosità di una politica che punta sull’“aumento delle pene” e sulla “creazione di nuovi reati” e che si preoccupa di introdurre nell’ordinamento “fattispecie vaghe e proteiformi, di nessuna efficacia preventiva e di conseguenze puramente cartacee”.

In questo caso, il mirino di Nordio sembra essere rivolto più alla propria parte politica che a quella avversaria e i bersagli del ragionamento del ministro sono proprio i due principali leader della propria coalizione. Gli stessi che da tempo tendono a intercettare una domanda di sicurezza degli elettori giocando con il rialzo delle pene. Gli stessi che si rifiutano di riconoscere che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Gli stessi che spesso dimenticano di ricordare che, come detto da Nordio in altre occasioni, “il carcere con la manetta e il catenaccio deve essere, ripeto, l’eccezione dell’eccezione e in prospettiva deve essere limitato ai gravissimi reati di sangue”. Il j’accuse di Nordio, che chissà se avrà la forza di passare dalla retorica ai fatti, è uno schiaffo alla sinistra ma anche alla destra e aiuta a ricordare una verità difficile da digerire: per combattere i nemici del garantismo e gli amici della cultura dello gogna la destra e la sinistra più che trovare ragioni per dividersi dovrebbero trovare con urgenza ragioni per unirsi. Contro una repubblica fondata sulla sottomissione alla repubblica dei pm e alla cultura della gogna. Almeno per oggi, viva Nordio.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.