Il racconto

L'ultimo blues di Bobo Maroni. L'abbraccio della vecchia Lega intorno alla bara del "segretario"

Carmelo Caruso

Il popolo del Carroccio saluta l'uomo che l'ha salvata. A Varese applausi per Giorgia Meloni e Giorgetti. Salvini lontano dalla premier. L'omaggio degli avversari

Varese. Si sono sentiti vivi ricordando un morto. Ai funerali di Bobo Maroni i leghisti hanno pianto due volte. Hanno pianto il corpo dell’ex segretario e hanno pianto per il partito, prigioniero del loro segretario. Quando la bara, di noce chiara, lucida, è stata alzata, suonavano le 11. Il cane Diablo, un’ora prima, annusava le sedie della Basilica di San Vittore. Non c’erano esplosivi. Al caffè Biffi, il caffè di Maroni, garantivano che quella appena versata fosse la ventesima grappa. All’edicola di Corso Matteotti La Prealpina era già esaurita. Un leghista: “Abbiamo fatto un congresso grazie a un funerale”. Da quanto tempo non si abbracciavano?


Come muore un leghista? Era la prima volta che accadeva. La stampa, le televisioni hanno visto morire democristiani, comunisti, fascisti, ma mai un grande leghista, il fondatore insieme a Umberto Bossi di una fede che ha sconvolto trent’anni di vita italiana: baffi, autonomia, canottiere e insolenza. Erano presenti oltre 80 sindaci da ogni parte d’Italia e poi l’elenco degli illustri miglior nemici: Casini, Monti, Lamorgese, Letizia Moratti... Il cerimoniale di Palazzo Chigi rivelava che si era di fronte al funerale meno costoso della storia della repubblica: “Solo lo schermo in piazza.  E’ piccino ma per Varese è sufficiente”. E’ servito un Cdm per fare della morte un omaggio. A Salvini rimproverano pure questo, di non essersi battuto a sufficienza, o almeno non per primo, affinché i funerali fossero di stato, come è avvenuto, e di averlo lasciato fare a Giorgetti e Matteo Piantedosi. Anche da vicepremier si può sembrare come “cani in chiesa” e Salvini lo sembrava. E’ arrivato insieme ad Antonio Tajani e alla fine della messa è salito in sede, la prima sede della Lega. Era qui che Bossi, affacciandosi da questo balcone, ha cominciato a comiziare. Si sono intrattenuti con Salvini solo i fedelissimi ma non lo hanno fatto né Luca Zaia né Massimiliano Fedriga. Giorgetti ha preferito restare in piazza con i militanti che gli toccavano le guance, la barba. Lo hanno applaudito così come hanno applaudito Giorgia Meloni. Da lontano è partito pure un “Forza Giorgia”. Era in imbarazzo perfino lei. Salvini soffriva. Qualcuno dei suoi, che gli vuole bene, se ne è accorto e ha fatto scattare un timidissimo applauso di incoraggiamento. Ma anche per applaudire bisogna credere come nelle relazioni, nei rapporti. C’è più verità nel disamore che nell’amore. Il disamore non si può nascondere. L’amore sì, fa singhiozzare, come un lutto. In chiesa, accanto alla Meloni, che ha cominciato a piangere ascoltando le parole del figlio di Maroni, c’erano il presidente della Camera, Lorenzo Fontana e Gianmarco Centinaio. Era in piazza già dalle 9 insieme a Paolo Grimoldi, l’ex segretario della Lega lombarda che alle televisioni ricordava: “Maroni ha salvato la Lega in un momento difficilissimo”. Oggi chi salverà la Lega?

Erano vestiti alla leghista. Centinaio aveva il suo solito Barbour e a un amico che gli chiedeva: “Ma non vedi che la Lega sprofonda, come riesci a restare indifferente?”, Centinaio rispondeva: “Hanno deciso così. Io stesso sono stato messo da parte. Si può essere accompagnati alla pensione anche da vicepresidente del Senato…”. E infatti lo è diventato. La famiglia Maroni ha preteso che le spese della cerimonia fossero a suo carico. Era il grande dibattito della piazza, il dibattito sul morto che in Italia è sempre “l’insostituibile” ma che era già stato sostituito. Dicono che la dirigenza della Lega non avesse più contatti con Maroni da tempo. Li aveva mantenuti solo qualche leghista che a Maroni aveva perdonato anche le cattiverie. Ne aveva commesse pure Maroni ma a differenza di altri leghisti le commetteva con il sorriso da malandrino blues, da barbaro “fogliante”. Un tassista confidava che l’ultimo suo vero sogno fosse fare il sindaco di Varese e “mi creda ce l’avrebbe fatta, se solo la malattia. Prima di lui il varesino più famoso era Zamberletti”. L’altro varesino famoso è lo scrittore Piero Chiara nato nella vicinissima Luino. C’era già la Lega, quella di Maroni, di Bossi, ne il suo Il Piatto piange: “Si giocava d’azzardo, come si era sempre giocato, con accanimento e passione, perché non c’era mai stato, a Luino, altro modo per poter sfogare l’avidità, il dispetto e, per i giovani, l’esuberanza dell’età e la voglia di vivere”. Roberto Maroni era nato il 15 marzo del 1955.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio