Foto di Filippo Attili, via Ansa 

fuori dall'italia

I miti del sovranismo stanno crollando: per la Meloni Associati è un'opportunità da non perdere

Claudio Cerasa

Dalla sconfitta di Trump alla vittoria di Lula contro Bolsonaro, i vecchi amici della premier annaspano. È l'occasione per il governo di non incagliarsi, come nell'ultimo caso francese, nel passato e costruire una destra pragmatica. Ma bisogna abbandonare la politica delle distrazioni di massa

In politica di solito funziona al contrario: più i tuoi avversari annaspano, più i tuoi nemici soffrono, più i tuoi rivali faticano e più, chi gode di questo beneficio, si ritrova di fronte a un formidabile oceano di opportunità. Con Giorgia Meloni, invece, la regola aurea della politica che prospera sulle macerie lasciate sul terreno dai propri competitor è vera solo a metà. E mai come oggi, per la presidente del Consiglio italiana, vale anche un’altra verità: più i tuoi vecchi amici annaspano, più i tuoi vecchi alleati soffrono, più i tuoi vecchi sodali faticano e più, di fronte a te, può aprirsi, incredibilmente, un oceano fatto di opportunità, di crescita e di prosperità.

 

In questo caso, il ragionamento per Meloni vale di più se si mette a fuoco il fronte estero, perché un Salvini molto debole, in Italia, per la presidente del Consiglio è sia una goduria sia una sciagura, perché una Lega debole permette a Fratelli d’Italia di rafforzarsi, sì, ma avere un Salvini debole, per Meloni, significa esporre il governo al rischio Papeete. E il fronte estero, come hanno dimostrato i primi due summit internazionali di Meloni, prima con la sua visita a Bruxelles di due settimane fa e ora con la sua partecipazione al G20 di Bali, ci dice che la credibilità e l’affidabilità della presidente del Consiglio sono legate alla capacità che metterà in campo il capo del governo di emanciparsi da un passato tossico, fatto di alleanze incompatibili con l’interesse nazionale e con l’interesse europeo.

 

Da questo punto di vista, per Meloni, le cose a livello internazionale non potrebbero andare meglio. La Meloni Associati aveva scommesso su Donald Trump e il trumpismo, per fortuna di Meloni, oggi è in crisi profonda. La Meloni Associati, specie durante la pandemia, aveva individuato in Bolsonaro il garante di un nuovo e aggressivo conservatorismo libertario e Bolsonaro, per fortuna di Meloni, è stato battuto alle elezioni da Lula. La Meloni Associati, in passato, aveva scommesso sul modello Orbán e oggi, anche grazie all’impegno dell’occidente in Ucraina, il modello Orbán prospera in Ungheria, sì, ma ha smesso da tempo di intossicare l’Europa. La Meloni Associati, in un passato recente, aveva scommesso sul modello Liz Truss, e Meloni, dopo la nomina a premier di Truss si era affrettata a dire che Truss sarebbe stata per l’Italia un modello da seguire, e il modello Truss, invece, nel giro di poche settimane, ha fatto la fine che sappiamo.

 

La Meloni e Salvini Associati aveva puntato anche sul modello Le Pen, come leva utile a scardinare il globalismo incarnato dal modello Macron, ma oggi, anche grazie al cortocircuito diplomatico andato in scena sulla Ocean Viking, Meloni sa bene che gli interessi dell’Italia in Europa, dalla solidarietà sulla redistribuzione dei migranti alla solidarietà sul Patto di stabilità, possono essere difesi solo portando dalla propria parte il nemico giurato del lepenismo, ovvero Macron. La caduta verticale dei miti del sovranismo – sommata al bagno di realtà con cui deve fare i conti il leader di un paese del G7 quando si trova ad affrontare sfide di portata internazionale – si presenta inevitabilmente e involontariamente come un’occasione di crescita.

 

E di fronte al flop dei modelli tossici su cui si è scelto di scommettere in passato è evidente che la Meloni Associati avrebbe lo spazio per costruire un modello di destra nuova, conservatrice, pragmatica e non estremista. Per farlo, però, occorrerebbe uscire da un metodo di governo sintetizzato così da un acuto addetto ai lavori: “Alla classe dirigente diamo il Pnrr, la prudenza economica, il tailleur nero. Ai nostri diamo i migranti, i rave, i contanti. E il metodo è chiaro: se facciamo i bravi sulle cose serie ci perdoneranno se facciamo la gara di rutti nello spogliatoio”. Il metodo ha un senso, ovvio, ma è un metodo che non fa altro che alimentare doppiezze e ambiguità. E quando la politica gioca con l’ambiguità, e le doppiezze, di solito lo fa senza rendersi conto che oggi più che mai ambiguità fa semplicemente rima con inaffidabilità e irresponsabilità.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.